Cultura e Spettacolo

Anno nuovo, ma i Silver Rocket sono "Old Fashioned"

NAPOLI, 3 GENNAIO 2012 - "The Worst is Yet to Come", cantano i Silver Rocket in apertura dell'album Old Fashioned: bugiardi, è la prima di 11 godibili tracce.

Il 6 gennaio 2012, infatti, non segnerà solo l'Epifania, ma lo scoccare di un mese esatto dalla pubblicazione dell'ultimo album dei Silver Rocket, trio ferrarese formatosi nel settembre del 2009, alle prese da più di due anni con la ricerca di sonorità garage, punk ed alternative. Una "ricerca senza ricerca", in realtà, visto che la band afferma con disarmante genuinità di suonare "la solita roba". [MORE]Niente di nuovo sul fronte dell'Indie, in effetti, ma chitarra (Ummer Freguia), basso (Bruno C., anche voce) e batteria (Nicola Zivago) da tracannare come un whiskey liscio, assaporando il retrogusto che oscilla tra ballads stile anni '50, indie dei nineties e le immancabili iniezioni post-punk. Il tutto nel solidissimo calice del wall of sound di Phil Spector, influenza ultra-dichiarata. Mastering ad opera di Gianluigi Battistini del compianto Natural Head Quarter, produzione della Mexican Standoff Records, etichetta degli stessi Silver Rocket, in collaborazione con la tedesca Af-Music.

Sarà anche il primo full-lenght della band, ma la lunghezza non degenera in prolissità. L'opener ipnotico e scazzato The Worst is Yet to Come sbandiera reminiscenze di Lou Reed, ma tanta acqua indie è passata sotto i ponti musicali, come emerge con evidenza anche maggiore nel successivo The Getaway, dal cantato più indolente che enfatizza le distorsioni di chitarra. Saturate, da far pensare ai The Libertines - ma prima c'erano i Sex Pistols... - prende un tono più scanzonato, mentre Indifferent non resta indifferente a certo dark pop degli eighties, con la voce di Bruno che pare fare il verso a Nick Cave. Walk Out the Door sembra promettere cacofonie, per poi risolversi in una piacevole ballad, presto sconfessata da Failure and Disaster, che alza il wall of sound con un riff alla Zakk Wylde e cadenze da Ozzy Osbourne. Static, con la regolare marzialità del rombo di basso, è statica di nome e di fatto. Bunny Ears, tra Arctic Monkeys e Dandy Warhols, incarna nel giro d'accordi in crescendo del refrain l'essenzialità del songwriting, laddove il successivo Untitled strizza l'occhio ad Iggy Pop nel pezzo più noise dell'album. That's Life omaggia Frank Sinatra con un arpeggio spigoloso sul letto tonante dei bassi, prima della chiusura con The Target, track sottotono dalle atmosfere vellutate che si direbbe ascoltato mille volte, ma eseguito con impeccabile alchimia ritmica.

Chi cerca l'originalità, certo inarcherà le sopracciglia di fronte ad Old Fashioned dei Silver Rocket. Ma, certo, altro è essere tribute band, altro è proseguire candidamente un percorso di eclettismo arci-digerito ed assimilato, direi, più che bene: se poi ne vien fuori un disco più piacevole che erudito, ben congegnato e sempre al di qua del rischio di citazionismo. Due certezze, la prima: bel disco; la seconda: se il prossimo sarà uguale a questo, non sarà bello.

Antonio Maiorino