Cronaca
Si può fare male in tanti modi, donne e bambine oltraggiate
Roma, 14 aprile 2011 - Non passa giorno che ci arrivi addosso la notizia di una giovane donna scomparsa, o ritrovata con gli occhi reclinati. Donne e bambine afferrate, legate in qualche angolo buio dove non esiste rispetto né amore, soltanto l’infamia più grande, che non è più possibile accettare. Prese a botte, umiliate, senza un risveglio di coscienza, donne oggetto di violenza fisica, psicologica, sessuale.[MORE]
Siamo scandalizzati e arrabbiati, quando prendiamo atto di un sopruso su un innocente, rimaniamo sconvolti quando facciamo i conti con la notizia di una bambina rubata, dilaniata, dalla disumanità più indicibile.
Eppure non siamo attenti, non mettiamo in atto partecipazione vera che avvicina alla condivisione profonda da cui ri-partire per dire basta e trasformare il male in un cambiamento che migliori le persone.
Viviamo un paese storto, capovolto, monco di comportamenti e di significati che consegnano consapevolezza, un paese che stenta a dismettere i panni sporchi, a chiamare a raccolta la propria coerenza, intanto le sabbie mobili salgono vertiginosamente, rischiando di soffocarci.
Nonostante questa emergenza, miserabile e intollerabile, non riusciamo a fare uno scarto, a possedere un rigurgito di vergogna dai silenzi, i mutismi, le omertà malcelate, continuiamo a nasconderci e passare avanti, a vivere di sacralità della furbizia, a scapito della giustizia che è l’unica possibile solidarietà.
Madri, bambine, molestate, stuprate, depredate e uccise, vite prese a calci, tra sussurri, porte chiuse e cuori aridi, donne-cose, oggetti, soprammobili, improvvisamente ritenute insopportabili da amare e curare.
Siamo presi in mezzo dalla violenza verbale e da quella fisica, nuova dinamica che corrode e annienta la relazione, comportamenti che rendono gran parte del tessuto sociale un malato grave, il cui disagio relazionale rischia di diventare patologia conclamata.
Donne e bambine soccombono, scompaiono senza un grido, una solitudine che umilia l’amore che ci viene da tutte le donne, relegandole a merce di scambio, tra chi non sa amare e chi dalla vita ha tratto il bene più grande: la fiducia di stare insieme.
La violenza sulle donne continua a rimanere un dramma rimosso, una ecatombe che non ha fine, un fenomeno delinquenziale sociale.
Si può fare male in tanti modi a una collettività, parlando di una tragedia ripetuta come questa, solamente quando il conato di vomito ci strozza in gola, quando è ricorrenza una volta l’anno, tanto per non fare mancare niente alla festa, un po’ meno alla commozione per le tante storie sbagliate nell’indifferenza più colpevole.
Piccole e grandi donne rese invisibili agli occhi e al cuore, ingiustizia e incapacità a sanare la ferita che è gia cancrena, e ancora rimaniamo avvinghiati alle nostre visioni distorte, di comodo.
Ogni volta che una donna viene percossa, una bambina offesa, entrambe rapinate della propria dignità, la responsabilità collettiva non può fare passi indietro, tanto meno restare impantanata in quella cultura universale che nega la parità dei diritti, e in molti casi considera legittimo oltraggiare le donne.
Forse è il caso di ri-pensare alla libertà, intesa nella misura in cui c’è consapevolezza che la responsabilità non è qualcosa di automatico, perché vantaggioso, ma responsabilità della condivisione a un rispetto quotidiano nei confronti di tutte le donne, bambine, come delle persone più deboli e innocenti.
Vincenzo Andraous
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