Economia
7 centesimi per un chilo di limoni siciliani. Il prossimo passo è il "made in Italy" turco?
CATANIA, 27 MAGGIO 2012 – Ai contadini siciliani coltivare i limoni non conviene più.
Raccoglierne un chilo infatti costa tredici centesimi, venderlo poco più della metà: sette centesimi. E così si assiste a quelle inqualificabili immagini di frutta lasciata a marcire sui rami.
Concorrenza estera al ribasso e filiera sono i due problemi principali con i quali bisogna fare i conti in questo ambito, con i quattro euro pagati per una giornata di lavoro in Turchia – tra i principali partner italiani nel settore – contro i settanta pagati in Sicilia, ai quali si aggiunge l'ormai noto problema di una filiera che, nella raccolta dei limoni come in tantissimi altri settori, premia i grandi nomi dell'industria invece che i piccoli produttori, che devono fare i conti anche con i cosiddetti “scartatari” che raccolgono la loro produzione per rivenderla poi ai gruppi industriali.
«Fino a cinque anni fa in Sicilia c'erano circa ottanta aziende di trasformazione di limoni e arance, oggi sono rimaste meno di dieci», dice Salvatore Rapisarda, presidente di Euro Agrumi, cooperativa che raccoglie quaranta imprese agricole catanesi in un articolo di Geraldine Pedrotti comparso oggi sul quotidiano Repubblica. Gli fa eco Alessandro Chiarelli, presidente della sezione catanese della Coldiretti, secondo cui «le aziende di trasformazione si avvantaggiano del marchio dei limoni siciliani, ma non danno nessun valore al prodotto. Il prezzo lo stabiliscono al ribasso in base a quello proposto dai coltivatori esteri, ma usano il brand italiano anche quando la quantità di limone nostrano utilizzato nei succhi è minima».[MORE]
Il problema è, appunto, di concorrenza. Di “appetibilità” del prodotto sui mercati, verrebbe da dire dato che si parla di limoni. Il tipo di limone che si produce ad Aci Castello, Aci Trezzo o Giarre – il monachello - viene scartato dalla grande distribuzione perché troppo delicato ed esteticamente inferiore ai limoni provenienti dall'America Latina o dalla Turchia. «Fino a qualche anno fa» - dice Graziano Scardino, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori di Catania - «l'industria pagava venti centesimi al chilo, pochi ma sufficienti a ripagare i costi di produzione. Adesso siamo arrivati a sette centesimi e non conviene più raccoglierli. Per sopravvivere al mercato internazionale, gli agricoltori avrebbero dovuto investire, ma nessuno era in grado di sostenere le spese di riconversione». Chi ci ha provato, lo abbiamo visto in questi mesi di protesta, non riuscendo a coprire le spese si è trovato in mano cartelle esattoriali dalle cifre astronomiche partite dalla Serit (o da Equitalia, allargando il discorso all'Italia intera).
Solo nell'ultimo anno sono cinquecento le imprese agricole costrette a chiudere perché i costi superavano i guadagni, diminuendo così anche la produzione, passata dalle 135.000 tonnellate del 2009 alle 120.000 del 2011.
E se già a febbraio l'Europa aveva dimostrato di preferire l'importazione ai prodotti autoctoni, non sembra così lontana l'epoca in cui i limoni siciliani del "Made in Italy" conserveranno solo l'etichetta.
(foto: siziliengemuese.de)
Andrea Intonti [senorbabylon.blogspot.com]