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50 anni dalla morte di J.F.Kennedy: L'omicidio senza verità

BOLOGNA, 22 NOVEMBRE 2013 - La Dealey Plaza, a Dallas, ospita oggi una grande celebrazione per ricordare il 35° Presidente degli Stati Uniti: John Fitzgerald Kennedy. Il Presidente più amato dal popolo americano. Lo scrittore e storico David MecCullough leggerà alcuni brani tratti dai discorsi pubblici più famosi di Kennedy. La commemorazione proseguirà con il suono delle campane e con la richiesta di un minuto di silenzio alle ore 12.30 (18.30 ora italiana), l’orario in cui il Presidente fu ucciso.

Il 22 Novembre del 1963 gli abitanti di Dallas, Texas, estasiati e in festa, non vedevano l’ora di vedere e, magari anche sfiorare, il loro Presidente: J.F.Kennedy. Erano le 12.30 quando, a bordo di una limousine “Lincoln”, appena entrata in Dealey Plaza, J.F. Kennedy venne ucciso e il Governatore Connelly ferito da alcuni colpi di arma da fuoco. In quel momento il panico iniziò a diffondersi tra la gente: c’era chi scappava, chi si nascondeva, ma c’era anche chi filmava e fotografava e, infine, chi aveva un ombrello, nero, aperto, nonostante il sole cocente. E’ il caso di Louie Steven Witt, che dopo gli spari chiuse l’ombrello dichiarando quel gesto un segno di protesta nei confronti del padre di Kennedy, reo di non appoggiare le linee ideologiche naziste.

Secondo la versione ufficiale della Warren Commission (dal nome del Presidente della corte suprema Earl Warren), il nome dell’omicida è Lee Harvey Oswald. Quest’ultimo, ex Marines, agisce da solo, sparando dal sesto piano del deposito libri, dove era stato assunto il mese prima. Usò un fucile Carcano 91/38 (arma costruita in Italia), sparando tre colpi, uno dei quali non andato a segno e due che uccisero e ferirono il Presidente e il Governatore: il tutto durò sette secondi. Questa durata di tempo, non viene confermata dagli italiani, i quali ritengono che per poter sparare i tre colpi con l’ottica di precisione, si ha bisogno di quindici secondi (quindi oltre il doppio di quelli stimati dalla Warren Commission). Il secondo proiettile che Oswald sparò viene definito, sarcasticamente, “Magic Bullet” (proiettile magico) per via della traiettoria che, sempre secondo questa versione, avrebbe prima ferito Kennedy alla schiena, poi alla gola, per poi uscire e ferire il governatore Connelly alla spalla e al polso. Dunque la versione ufficiale è piena di contraddizioni e di fatti che non convincono appieno, per usare un eufemismo.

A far luce sull’omicidio che cambiò la storia del Mondo, ritorna nel 1979 la HSCA (House Select Commitee on Assassinations) dando un’altra versione dell’accaduto. Tutto grazie ad un altro video e ad altre registrazioni, dove si possono notare degli spari provenienti da Grassy knoll (collinetta a una decina di metri di fianco alla posizione di Zapruder-il primo filmaker che riprese l’accaduto-). Secondo l’HSCA sono due le persone che spararono contro la limousine presidenziale: un colpo davanti, proveniente dalla collinetta, e tre dal deposito di libri. Questa versione però non esclude il “Magic Bullet”, infatti, dichiara che, il colpo mortale sia stato sparato dal deposito di libri e quindi da Oswald, ma non esclude la collinetta, per via della vicinanza, che non permette di distinguere gli spari. Anch’essa prevede degli elementi contrastanti e poco chiari. A tale proposito la Commissione invitò i ricercatori a trovare delle nuove risposte grazie alle nuove tecnologie.

Il film diretto da Oliver Stone, “JFK - un caso ancora aperto”, prende spunto dalle inchieste prodotte da Jim Garrison, nel 1967 Procuratore Distrettuale, dalle quali si è giunti ad una terza versione: molto più ampia, che vede Oswald come uno degli assassini, ma non il solo. Infatti i fascicoli di Garrison raccontano di un vero e proprio team di professionisti tra cecchini e segnalatori (tra cui “l’uomo con l’ombrello nero”). Tre uomini appostati in tre diversi punti: uno sulla collinetta, uno nel deposito e un altro in un palazzo, il Dal-tex. Il primo colpo ferisce un passante, il secondo và a vuoto, il terzo colpisce Kennedy alla gola e un quarto alla schiena, mentre il quinto colpisce Connelly.

Il giorno dopo l’omicidio, un giovane universitario ritrova un pezzo della scatola cranica del Presidente, la fotografa e la porta all’FBI. Ma il frammento sparisce. Per molti è un’ulteriore prova che sul cadavere di Kennedy furono effettuate delle modifiche, quali suture e ricostruzioni, per addossare la colpa al solo Oswald.

Sembrerebbe un paradosso, ma l’ipotesi ufficiale pare la meno plausibile rispetto alle altre due, che, comunque, non danno nulla per certo. Le tesi sono diverse e contrastanti. L’FBI, la CIA e quanti hanno indagato sull’episodio, hanno inquinato, anziché chiarire, l’accaduto. L’unica verità è che non sono bastati 50 anni per conoscere, con esattezza, quanto successe quel 22 novembre; giorno che ci ha fatto perdere un uomo e un politico straordinario. Faceva della sua arte oratoria, uno dei suoi migliori pregi, rendendo sempre vive, nella mente di chi l’ha amato, frasi come: ”Non chiedetevi cosa può fare l’America per voi, chiedetevi cosa potete fare voi per l’America”, o in occasione della visita a Berlino Ovest il 26 Giugno 1963, di fronte alla porta di Brandeburgo: “Ich bin ein Berliner”(io sono un Berlinese). Un Presidente dai molti pregi, ma con un unico difetto: voler cambiare il mondo!

Quell’omicidio soffocò la realizzazione di un sogno. Il sogno americano invocato pochi mesi prima da Martin L. King: ”I have a dream”. Il sogno della pace e dell’uguaglianza tra popoli, razze e religioni.

(Foto: dallasnews.com/news/jfk50)

Dario Clemente  [MORE]