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5 domande a Ferzan Ozpetek su Rosso Istanbul: "la mia metropoli inafferrabile. E ora film su Napoli"
Rosso Istanbul, l'ultimo film di Ferzan Ozpetek, conferma quel vecchio assunto del pittore Giorgio De Chirico: l'artista non deve essere originale, ma originario, cioè muovere dagli umori della propria storia e della propria identità. Per il regista di origini turche e di adozione italiana, raccontare la propria città di nascita ha posto la sfida di percepire le atmosfere di una città "sospesa", ma soprattutto resa anche più sfuggente dai cambiamenti in atto. Per farlo, Ozpetek dichiara di aver "tradito" il suo stesso romanzo, la base da cui è partito per profilare una storia pregna di suggestioni e tensioni. Anche autobiografiche. Così le commenta, rispondendo alle nostre domande.
ANTONIO MAIORINO: 13 maggio 2016, la data da cui parte Rosso Istanbul e la data che segna i 20 anni dall’inizio delle riprese di Hamam (Il bagno turco). In entrambe le opere, una Istanbul che affascina e, forse, intrappola. Com’è cambiato il suo sguardo sulla città in questo lasso di tempo?
FERZAN OZPETEK: negli ultimi dieci anni Istanbul è cambiata enormemente, c'è un grande fermento. La situazione politica è difficile, ma penso che il cambiamento di un paese oggi sia sempre determinato da influenze internazionali che magari si scopriranno dopo anni. Difficilmente un paese cambia da solo. Per quanto riguarda il legame con Hamam anche in questo film racconto attraverso la mia città il rapporto tra Occidente ed Oriente. Ne Il bagno turco narravo di un mondo sapendo che non ci sarebbe stato più, ora racconto come le cose si sono modificate. Non è semplice da spiegare, Istanbul, è sempre affascinante ma è molto diversa. E' più bella ma più sfuggente, vi sono tanti aspetti negativi, insondabili. La città che esce dal mio nuovo film è una metropoli sospesa, strana, difficile da definire.
A.M: lo spettatore italiano forse ha un’idea esotica e stereotipata di Istanbul; quello turco, al contrario, potrebbe conoscerla fin troppo bene, avere uno sguardo assuefatto. Come ha cercato di sorprendere sia lo spettatore italiano che quello turco per raccontare le atmosfere della città?
F.O: nessuno credo possa dire con certezza di conoscere fino in fondo una città come Istanbul. In questo film la città è una protagonista che non si può non amare. È una città speciale con i suoi colori, il rosso - che è legato soprattutto ad un ricordo personale di mia madre - ma anche il blu, l'ocra. Con tutti i suoi rumori a volte piacevoli, a volte insopportabili come quelli delle trivelle che senti ovunque, dato che Istanbul è un cantiere in costruzione. Ma poi vi sono i tramonti sul Bosforo, la casa dove ho ambientato la storia, un magnifico yali. Istanbul è una cosa e il suo contrario e questo la rende strana, affascinante, inafferrabile. Se ci andate ora è diversa, perché sta mutando di continuo anche negli umori delle persone. La cosa che conta di più è proprio l’atmosfera e l'atteggiamento della gente, perché sono loro che fanno una città. Tornarci dopo molto tempo, per il protagonista, così come per me è stato un ritorno a casa, un tornare indietro negli anni in cui passavo il mio tempo in una grande villa affacciata proprio su quel mare, che in molti cercano di attraversare a nuoto ma che in pochi riescono a farlo davvero.[MORE]
A.M: parliamo di “differenze”. Ce ne sono molte tra il romanzo e il film: quali? E quali tra il protagonista Orhan e Ferzan Ozpetek?
F.O: ho tradito quasidel tutto il romanzo rispetto al film, sono rimasti solo alcuni personaggi ed alcune scene che ritenevo fondamentali. Il mio scopo era proprio allontanarmi il più possibile dal mio primo romanzo anche perché mi annoiava l'idea di portare al cinema la stessa storia già raccontata.
Lo stimolo, la vera sfida è stata proprio quella di partire dal romanzo ed estrapolare e sviscerare solo ciò che mi interessava portare sullo schermo. Chiaramente c'è molto me in Orhan ma non solo in lui. Ci sono parti della mia personalità, della mia storia anche in Neval, Yusuf e Deniz. Più similitudini che differenze, che ho disseminato in ogni personaggio della storia.
A.M: in che modo Ferzan Ozpetek ha attuato una sorta di “strategia della tensione” lungo tutto il film Rosso Istanbul?
F.O: insieme a Gianni Romoli e Valia Santella con i quali ho scritto la sceneggiatura abbiamo inserito molti elementi nuovi, dei veri e propri colpi di scena che trasformano la storia in una specie di thriller e svelano man mano ciò che all'inizio non si conosce. Orhan, il protagonista, ritorna ad Istanbul, sua città natale, dopo vent'anni che vive a Londra, deve incontrare Deniz - famoso regista - del quale sta curando l'edizione di un suo libro. L'incontro con Deniz è il motore che fa scattare il rapportarsi di Ohran con Istanbul e tanti altri personaggi che ruotano intorno alla vita dell'amico e come risultato avremo un uomo che resterà intrappolato in una città piena di ricordi dimenticati per troppo tempo. Quindi la "strategia della tensione" è frutto del lavoro di sceneggiatura e di una regia in linea con la storia narrata.
A.M: in tema di città che generano storie, ha già annunciato che Napoli velata sarà il suo prossimo film, con Giovanna Mezzogiorno. In che modo la città partenopea è riuscito ad affascinarla ed entrarle sotto pelle?
F.O: ho diretto per tre anni a Napoli La Traviata. Amo Napoli. Insieme a Roma ed Istanbul è la terza città tra le mie preferite al mondo. È una città pagana, che trasuda sensualità, sembra sempre un corteggiamento. Ho una coppia di amici che abita alla Sanità che mi porta in giro raccontandomi tante storie. Mi vengono i brividi, nel vedere la storia mischiata alla vita. E poi io sono fatto così: vado nei quartieri, diventando amico della signora che fa la pizza fritta. Napoli velata sarà un film nero, ma ben diverso da Gomorra (che adoro, ma che nella mia testa è ben lontana da Napoli). La sceneggiatura, è stata sempre scritta con Gianni Romoli e Valia Santella, e a maggio iniziamo a girare.
(nella foto in alto: dettaglio di fotogramma di Rosso Istanbul, FONTE: 01 DISTRIBUTION; all'interno, Ferzan Ozpetek sul set, FONTE: STUDIO NOBILE SCARAFONI)
Antonio Maiorino