Editoriale
#1maggio 2013, il "nero" della Festa dei lavoratori
ROMA, 1 MAGGIO 2013, Festa del lavoro. Che significato ha oggi festeggiare ancora quella che è nata come la ricorrenza a memoria di una lotta internazionale volta al miglioramento delle condizioni lavorative? Quella che trovava humus favorevole nella parola d’ordine utilizzata nel 1855 in Australia "Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire"? Oggi c’è chi per farle, quelle otto ore di lavoro, darebbe la vita, anzi dà la vita, purtroppo. Eppure ancora adesso, ancora nel 2013, esistono delle realtà, neanche tanto lontane, in cui è presente un pesante sfruttamento sul lavoro. Uno di questi è la mancanza di un lavoro “in regola”, fenomeno che dà largo spazio alla diffusione del “lavoro nero”, tanto che ormai si può dire che esso sia una caratteristica strutturata dell’economia italiana. Il fatto, sia chiaro, non riguarda solo i migranti nel nostro paese, ma tantissimi lavoratori italiani che, per necessità, si vedono costretti ad accettare decenni di lavoro nero, in cui diventa frustrante persino operare, e in cui perde dignità il lavoro stesso che viene fatto.
Anni in cui si perdono tutti i diritti necessari alla vita civile, la possibilità di versare contributi e con essa l’opportunità di crearsi un futuro. Anche le cose più elementari diventano difficili, e persino pensare di effettuare un piccolo acquisto rappresenta un lusso per i più. Dati alla mano sono proprio i due paesi con il debito nei confronti dell’Unione più alto quelli che presentano la percentuale maggiore di lavoro nero, peggio dell’Italia solo la Grecia. Da noi, come in Grecia, è possibile lavorare anche per cento euro al mese. Tutto si fa pur di portare a casa quel poco che “non basta”, in silenzio, senza opporre resistenza, perché questo potrebbe significare la perdita anche di quel “poco” trovato a fatica. In paesi come il nostro, ma anche come i paesi scandinavi o Svizzera, Germania e Austria, dove non esiste alcuna legislazione nazionale che imponga un reddito mensile minimo da dare ad ogni cittadino, non esiste una protezione sociale, nessun sostegno nemmeno per chi è senza lavoro causa licenziamento.
Secondo le stime del 2009, da poco rese note dall’Istat, i lavoratori in nero ammonterebbero a quasi 3 milioni. Mentre un’indagine compiuta dallo stesso ente nel gennaio di questo 2013, intitolata "Noi Italia 2013. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo", ha messo in luce una situazione italiana, legata alle problematiche lavorative, davvero poco felice. I dati, che si riferiscono per lo più all’anno 2011, hanno evidenziato che, in quell’anno, il tasso di disoccupazione giovanile italiano era al 29,1%, superiore, cioè, a quello medio dell’Unione europea (21,4%). E ancora si deduce che in Italia il lavoro sommerso incide “in misura rilevante a livello nazionale”, ed il Mezzogiorno registra l’incidenza più alta del Paese per quel che riguarda tale irregolarità.
Alla luce di questo, l’indagine sottolinea anche che vi è un aumento considerevole degli omicidi, non di mafia, ma legati a rapine e furti. Dice l’Istat “ vi è una lieve ripresa degli omicidi volontari, sia consumati sia tentati, dopo il minimo storico toccato nel 2010 e prosegue, invece, la diminuzione di quelli di matrice mafiosa". Tutto questo prima ancora che si verificassero i numerosissimi casi di suicidio ed atti di violenza in genere di questi ultimi mesi, il che fa supporre che la situazione si sia ancor più aggravata. E infatti gli ultimissimi dati Istat del mese di marzo parlano chiaro: tra i giovani, fra i 15 e i 24 anni, l’incidenza dei disoccupati è in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente. I giovani disoccupati sono ben 635 mila in questa fascia d’eta’.
Un piccolo spiraglio a favore del lavoro "regolare" è arrivato questo 14 marzo quando è stato siglato dal comandante generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo, e dal presidente INAIL Massimo De Felice un protocollo d’intesa allo scopo di “tutelare, nell’ambito delle rispettive competenze, le forme regolari di lavoro da possibili deviazioni, per evasioni fiscali e contributive perpetrate da tutti i datori di lavoro, compresi quelli del settore marittimo”. In sostanza l'INAIL provvederà a segnalare, attraverso attività ispettive, ai comandi provinciali e i reparti operativi aeronavali le informazioni, utili per la "prevenzione e la repressione del lavoro nero". La speranza è che sempre maggiori controlli possano, se non debellare, quantomeno limitare la diffusione di un fenomeno quasi connaturato nel nostro paese la cui Repubblica democratica dovrebbe essere fondata sul lavoro. [MORE]
(Foto dal sito guidasicilia.it)
Katia Portovenero