Tav: le motivazioni che spingono i cittadini a protestare - Mafia ed appalti
Cronaca Piemonte

Tav: le motivazioni che spingono i cittadini a protestare - Mafia ed appalti

venerdì 31 maggio, 2013

TORINO, 31 MAGGIO 2013 - Di recente, il cantiere Tav di Chiomonte, in provincia di Torino, è stato preso d'assalto da alcune frange violente che lottano nel tentativo di fermare i lavori per la realizzazione dell'infrastruttura. Mentre i ministri convocano il Comitato d'ordine e sicurezza nazionale per contrastare le violenze, risulta opportuno distinguere i dissidenti dai cittadini che pacificamente intendono proteggere la Val di Susa.

La questione dell'alta velocità diviene spesso oggetto di manipolazione da parte della stampa, ma ancora più spesso, la guerriglia urbana fa sì che passino in secondo piano le ragioni che spingono i No-Tav a difendere la Valle.

Tav si o no?
Si tratta di un quesito, divenuto ben presto problema, che attanaglia non solo i Piemontesi, ma l'Italia intera. Collegare Torino e Lione con un treno ad alta velocità può davvero dividere l'opinione pubblica? La risposta, in questo caso, è “sì”. I cittadini della Val di Susa in particolare, dove passeranno i convogli, si sono attivati immediatamente per schierarsi contro la Tav, tentando così di proteggere i territori. La questione, però, va al di là degli eventuali danni ambientali. Esistono infatti dei vecchi binari ferroviari, i quali, secondo molti, potrebbero essere ripristinati per la realizzazione del progetto. Ma per quale ragione non vengono prese in considerazione le vecchie infrastrutture? I No-Tav sono convinti che una delle motivazioni sia da ricercare nelle eventuali infiltrazioni mafiose. Sostanzialmente, si parla di gare d'appalto sospettate di essere “truccate”.[MORE]

I motivi che spingono i cittadini a protestare

Le infiltrazioni mafiose
Il movimento contrario alla Tav sostiene che i cantieri appaltati alle aziende che si occuperanno di realizzare l'infrastruttura, siano stati oggetto di interesse da parte delle cosche mafiose. Nel Marzo del 2011, il giornalista Giovanni Tizian scriveva: «Una della aziende incaricata di costruire il tunnel esplorativo sotto la Val di Susa, la romagnola Bentini Spa, nel 2005 ha vinto l’appalto per il nuovo palazzo di giustizia di Reggio Calabria. Il subappalto della sede giudiziaria, su richiesta della Bentini, fu concesso alla Corf srl. E così la Corf srl con sede a Polistena e Bologna conquista una commessa da oltre un milione di Euro. Ma secondo gli investigatori dietro la società calabro-emiliana si muovono però interessi che portano il marchio del clan Longo di Polistena, potente famiglia di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, alleata con cosche storiche come i Pesce».

Il giornalista ha anche parlato delle indagini svolte: «Il rapporto tra la Corf e la Bentini dura da Maggio 2005 a Marzo 2006, quando la Prefettura interviene per sospendere il subappalto. Gli investigatori analizzando la documentazione delle società evidenziano numerose assunzioni gravitanti in ambienti criminali, quasi tutti provenienti dalla piana di Gioia Tauro. La Bentini non èstata coinvolta in alcuna indagine o filone giudiziario calabrese. Ma ha concesso il subappalto a un'zienda che gli inquirenti ritengono sia emanazione della mafia calabrese, la più dinamica sul fronte imprenditoriale. Due anni dopo quel contratto, nel 2007, scattano i sequestri preventivi per i beni dei Longo, tra cui compare proprio la Corf. Che nel frattempo ha cambiato pelle ed è diventata Arcoverde costruzioni, con sede a Bologna. La società è stata poi dissequestrata e nuovamente posta sotto amministrazione giudiziaria a febbraio scorso su ordine del Tribunale delle misure di prevenzione di Reggio Calabria. La motivazione? Sempre la stessa, quella società è roba del clan Longo. Chi può garantire che il copione non si ripeta in Val di Susa?».

Si tratta di uno dei tanti interrogativi che si pongono non solo i giornalisti, ma anche i cittadini della Val di Susa che da sempre si oppongono alla Tav. Secondo quanto emerge dai fatti di cronaca tra il 2011 ed il 2013, sono state molte le persone arrestate in Piemonte con l'accusa di essere affiliate alla 'ndrangheta (inchiesta Minotauro), dunque, i sospetti degli attivisti, trovano spesso riscontro con quanto emerge dalle indagini delle autorità.

Un rapporto della Dia del Febbraio 2013 riporta: «In Piemonte la 'ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia. Attualmente è la 'ndrangheta la protagonista della scena criminale piemontese tanto sul versante del traffico di droga quanto su quello più propriamente definibile del controllo del territorio, quest’ultimo in fase di sicuro rafforzamento».

Secondo quanto emerge, dunque, la paura dei valsusini potrebbe essere rappresentata da fatti reali e non solamente da luoghi comuni. Ciò nonostante, legare la mafia, nello specifico quella calabrese, alla Tav, risulta difficile per chiunque: la paura spesso si trasforma in omertà. Quello che è certo, è che i cittadini chiedono risposte concrete alle forze di sicurezza, le quali hanno siglato un protocollo anti-mafia che impone il massimo controllo sulla realizzazione della Torino-Lione.

La risposta delle forze di sicurezza nel Settembre 2012
Durate la convocazione del Comitato per l'ordine e la sicurezza nazionale, avvenuto presso la Procura di Torino nel Settembre 2012, è stato siglato il protocollo anti-mafia tra le forze di sicurezza e Ltf, Fillea, Cgil, Filca, Cisl, Fenal e Uil. Durante il vertice erano presenti anche il sottosegretario De Stefano, il vicecomandante nazionale dell'Arma dei Carabinieri, il vicecomandante della Polizia ed il procuratore capo Giancarlo Caselli. A seguito dell'incontro, Antonio Saitta, presidente della Provincia torinese, ha raccontato ai giornalisti: «La questione Tav, anche dal punto di vista dell’ordine pubblico, è diventata nazionale».

Ma il provvedimento preso dalle forze dell'ordine, è davvero servito a placare gli animi? La risposta è negativa, tant'è che il movimento No-Tav ritiene che gli accordi presi non siano sufficienti a controllare le oltre cinquanta imprese che sono coinvolte nel progetto.

Il business criminale spiegato dal giornalista Roberto Saviano
Riguardo la Tav, si è pronunciato anche Roberto Saviano, famoso giornalista che impiega tutte le sue forze nella lotta contro la mafia. Nel Marzo del 2012, l'autore di Gomorra scriveva sul quotidiano “Repubblica”: «Le mafie si presentano con imprese che vincono perché fanno prezzi vantaggiosi che sbaragliano il mercato, hanno sedi al nord e curricula puliti, e il flusso di denaro destinato alla Tav rischia di diventare linfa per il loro potenziamento, aumentandone la capacità di investimento, di controllo del territorio, accrescendone il potere economico e, di conseguenza, politico. Non vincono puntando il fucile. Vincono perché grazie ai soldi illeciti il loro agire lecito è più economico, migliore e veloce. Lo schema finanziario utilizzato sino ad ora negli appalti Tav è il meccanismo noto per la ricostruzione post-terremoto del 1980: il meccanismo della concessione, che sostituisce la normale gara d'appalto in virtù della presunta urgenza dell'opera, e fa sì che la spesa finale sia determinata sulla base della fatturazione complessiva prodotta in corso d'opera, permettendo di fatto di gonfiare i costi e creare fondi neri per migliaia di miliardi. La storia dell'alta velocità in Italia è storia di accumulazione di capitali da parte dei cartelli mafiosi dell'edilizia e del cemento. Il tracciato della Lione-Torino si può sovrapporre alla mappa delle famiglie mafiose e dei loro affari nel ciclo del cemento. Sono tutte pronte e già si sono organizzate in questi anni».
(Articolo di Roberto Saviano: http://www.repubblica.it/cronaca/2012/03/06/news/tav_saviano-31013967/ )

Aziende pulite?
Dalle spiegazioni di Roberto Saviano, emerge che l'infiltrazione mafiosa può facilmente avvenire proprio tramite le aziende che ottengono in appalto i lavori dedicati alla Tav. Le forze di sicurezza sono dunque intervenute nel Novembre 2011 per escludere dalla realizzazione del tratto Treviglio-Brescia un'azienda sospetta. Erano due i subappalti destinati all'impresa edile Ico, per un ammontare di 2,3 Milioni di Euro. Il giornale “L'Eco di Bergamo” ha riportato la notizia, spiegando: «La prefettura ha emesso informative antimafia atipiche nei suoi confronti. Una di queste espone che l'azienda ha formato un'Ati (Associazione temporanea d'imprese), con le ditte Safem srl e Building srl per lo svolgimento di lavori nell'ambito della strada Pedemontana in Provincia di Varese. Gli amministratori di Building srl sono sospettati di collegamenti con la criminalità organizzata». Tagliare fuori un'azienda dal progetto, però, non è sufficiente a guadagnare la fiducia degli attivisti contrari alla Tav. Probabilmente, anche per l'elevato numero di imprese coinvolte, è impossibile, per i cittadini della Val di Susa, riporre la propria fiducia nelle istituzioni. Consultare i curriculum delle imprese e valutare la legittimità degli appalti risulta praticamente impossibile per i cittadini comuni.

Ad aggravare la situazione, vi sono le multe ricevute dal consorzio Cavet, che fa parte del gruppo Impreglio (tratto Milano-Napoli). Secondo i quanto riportano le agenzie di stampa, i dirigenti avrebbero dovuto pagare ammende per un ammontare di 150 Milioni di Euro e sarebbero stati condannati ventisette volte per reati come: traffico illecito di rifiuti, furto aggravato d'acqua pubblica, realizzazione di discariche abusive.
(Registrazioni audio del processo Cavet http://www.radioradicale.it/processo/processo-consorzio-cavet-alta-velocita)

CONTINUA >> PARTE 2: Tav: le motivazioni che spingono i cittadini a protestare - Ambiente e repressione

(Foto da nanopress.it)

Alessia Malachiti


Autore
https://www.infooggi.it - Il Diritto Di Sapere

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