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ROMA, 28 SETTEMBRE 2011 – Potrebbe essere scritta oggi la parola fine sull'”affaire Romano”. Alle 16 di quest'oggi, infatti, la Camera dei deputati – a cui il ministro apparteneva prima di essere nominato al dicastero delle Politiche agricole, alimentari e forestali nello scorso marzo – sarà chiamata a votare la mozione di sfiducia a seguito della sua imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa. Il ministro: «Sono tranquillo, parlerò in Aula».[MORE]
«Ascolterò gli interventi e, quando il presidente mi darà la parola, dirò due cose» - ha ribadito il ministro, che in aula parlerà senza l'ausilio di appunti - «In questi giorni, da parte di alcuni giornali e di alcune trasmissioni televisive, ho letto e visto molta disinformatija. Non ho mai avuto un processo, un rinvio a giudizio, una condanna». Dovrà essere proprio la Camera a decidere, attraverso il voto, se dare la possibilità alla Procura di Palermo di procedere con il rinvio a giudizio del ministro nell'ambito dell'inchiesta – nella quale è coinvolto anche l'ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro – sulle presunte tangenti distribuite da Gianni Lapis, tributarista e prestanome dei Ciancimino, per favorire una società di cui era socio Massimo Ciancimino.
Come scrissero nella richiesta presentata lo scorso luglio il pubblico ministero Nino Di Matteo e l'aggiunto Ignazio De Francisci «nella sua veste di esponente politico di spicco, prima della Dc e poi del Ccd e Cdu e, dopo il 13 maggio 2001, di parlamentare nazionale, Romano avrebbe consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa, intrattenendo, anche al fine di acquisire sostegno elettorale, rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco dell'organizzazione tra i quali Angelo Siino, Giuseppe Guttadauro, Antonino Mandalà e Francesco Campanella». Due di questi – Siino e Campanella – sono peraltro tra i “pentiti” su cui oggi si basa proprio l'accusa al ministro.
L'aula, il cui voto sarà palese, è spaccata. Se da un lato il fronte dell'opposizione vede il portabandiera nel leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, che prevede un vero e proprio «voto di scambio in stile mafioso» ed al quale si aggiungono gli esponenti del Partito Democratico e dell'Unione di Centro (Lorenzo Cesa, segretario del partito, ha definito il ministro «ribaltonista che difende le quote latte per interessi di bottega della Lega»), proprio dal partito di Bossi – sempre più ancora di salvezza per il governo – potrebbero arrivare i numeri necessari a salvare la poltrona di Romano.
Come sempre più spesso accade, tutto si deciderà in una manciata di voti. Sulla carta la mozione di sfiducia dovrebbe non raggiungere la maggioranza – che può contare su 320 voti, mentre l'opposizione si ferma a 306 – e quindi essere rigettata. Ma bisognerà capire quanto folto sarà il “partito degli assenti”, tra assenze sicure come quella di Marianna Madia, che ieri ha partorito e difficilmente sarà in aula e quelle ancora incerte tra le quali spicca quella dell'ex ministro democristiano – ed ex inquisito per mafia – Calogero Mannino.
Oltre ai deputati, sono stati convocati anche gli “indignados”, che si ritroveranno sotto Montecitorio a partire dalle 15.30 per una “catena umana della legalità”.
Andrea Intonti