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LOS ANGELES, 5 OTTOBRE 2011 - È iniziata la seconda settimana del processo a Conrad Murray, il dottore che secondo l’accusa avrebbe causato la morte di Michael Jackson il 25 giugno del 2009. In questa seconda settimana si è aperta una nuova fase nel processo, dopo aver ascoltato i testimoni presenti nella residenza della popstar al momento della sua morte (come i responsabili della sicurezza Faheem Muhammed e Alberto Alvarez), ora è il momento di raccogliere le testimonianze degli investigatori che hanno seguito le vicende posteriori la morte di Michael Jackson e quelle dei medici di pronto soccorso che hanno accolto il corpo ormai esanime della star.[MORE]
«Il signor Jackson era morto già da un pezzo prima che potesse diventare il paziente del quale sarei stata responsabile», così ribadisce la dottoressa Richelle Cooper del pronto soccorso dell'UCLA. La dottoressa continua la sua testimonianza chiarendo che il Dr. Murray non menzionò mai il Propofol allo staff dell’UCLA, ma aggiunge che anche se avesse confessato di aver utilizzato il potente anestetico non avrebbe fatto molta differenza, il paziente era già morto prima di entrare in ospedale.
L’ultimo respiro Jackson lo ha esalato fra le mura della sua residenza, ma chi era con lui in quel momento? Secondo gli inquirenti il cantante ha smesso di respirare poco prima delle 12 in seguito ad una dose fatale di Propofol (che secondo la difesa fu assunta da Jackson senza la consultazione di Murray), in quegli istanti il medico era al telefono con una sua amica. La telefonata è stata bruscamente interrotta alle 11:56 non appena Murray ha realizzato che la popstar aveva smesso di respirare, ma la chiamata all’ambulanza è stata fatta solo alle 12:20. Secondo Alberto Alvarez il dott. Murray avrebbe ritardato la chiamata allo scopo di liberare la stanza da alcune sostanze farmaceutiche non specificate
Andrea Portieri