Omicidio Rostagno. Sbagliata la pista trapanese?
Cronaca Sicilia

Omicidio Rostagno. Sbagliata la pista trapanese?

martedì 29 novembre, 2011

TRAPANI, 29 NOVEMBRE 2011 – Ai trapanesi non piaceva, ma non sono stati loro ad ucciderlo. È questa, in soldoni, la parte principale delle deposizioni del collaboratore di giustizia Francesco Milazzo tenutasi la scorsa settimana davanti alla Corte d'Assise trapanese. Come andarono, allora, i fatti? [MORE]

Milazzo, come ricorda Rino Giacalone su Malitalia è l'essenza stessa del “collaboratore”, cresciuto – punciutu all'età di vent'anni, nel 1973 - con le regole di quella Cosa nostra che sopperiva all'assenza ingiustificata dello Stato.
Viene arrestato sul finire degli anni '90 dalla Mobile di Trapani. Appena arrestato chiese una corda per uccidersi. Poi la redenzione e l'inizio della collaborazione con lo Stato, che coincide con il ripudio da parte dei familiari (solo la madre decide di seguirlo nella località protetta dove viene portato).

«Rostagno ha toccato qualche nominativo fuori dalla provincia di Trapani, che non si doveva toccare. A noi non interessava ucciderlo», ha risposto Milazzo a Francesco Del Bene, il procuratore che lo stava interrogando. Sul nominativo, però, niente di più di un «interno a Cosa nostra, ma di fuori provincia». Il nome più gettonato è quello di Mariano Agate, il boss di Mazara con forti agganci con la massoneria (tra cui anche quella di Licio Gelli), due fronti su cui il giornalista di Rtc stava indagando.

Certo è, comunque, che anche i trapanesi non avessero una gran simpatia per Rostagno, etichettato come “pezzo di cornuto” quando appariva in televisione. «Ci attaccava con tutte le cose brutte che diceva al telegiornale, ci insultava, istigava la gente a prendere le distanze dalla mafia» ha evidenziato Milazzo, che ha anche raccontato del progetto di uccidere l'allora capo della quadra mobile Giuseppe Linare, considerato uno dei più impegnati avversari dei clan. Il progetto non andò in porto perché Vincenzo Virga sostenne che «i tempi non erano ancora maturi».

«Quando ho sentito che a Rostagno bisognava “ascipparici la testa” ho capito che era finito, che doveva essere ucciso», ha concluso Milazzo.

 Andrea Intonti


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