Movimenti: antipolitica o alternativa democratica?
Politica Lazio

Movimenti: antipolitica o alternativa democratica?

giovedì 27 dicembre, 2012

ROMA, 27 DICEMBRE 2012 – (Approfondimento a cura di Andrea Leccese) “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.

No, non è Beppe Grillo, ma Enrico Berlinguer, capo del Partito Comunista Italiano che, dopo aver abbandonato l’infelice ideologia del “compromesso storico”, elaborò una critica spietata dei partiti politici, auspicando una “alternativa democratica”, fondata sull’azione di governo di “tutte le forze sane della democrazia italiana, persone oneste capaci dei partiti e fuori da essi”. Berlinguer, per ravvivare la democrazia in crisi, auspicò “una riattivazione di energie intellettuali, del mondo giovanile, dei sindacati, delle forze sane della produzione, della scienza, della tecnica, della pubblica amministrazione”. Egli cercò nella società civile “nuovi soggetti” e “nuovi movimenti” capaci di surrogare o integrare quelli tradizionali. Erano i primi anni Ottanta.

Oggi le cose non sembrano cambiate. Siamo di fronte ad una gravissima crisi della democrazia, e la fiducia nella politica sembra ai minimi storici. Sempre più diffusa è l’insofferenza verso i partiti, misurata in concreto dal tasso di astensione molto elevato e dai successi del movimento di Grillo. Senza perderci nelle solite seppur condivisibili riflessioni sui pericoli dell’antipolitica e dell’antiparlamentarismo (la famosa Buonanima trasformò “l’aula sorda e grigia” in “un bivacco di manipoli”), o nella più sottile considerazione della ipocrisia di tanti iperindignati (farebbero lo stesso al posto degli odiati politici), o nella meditazione del fatto che gli italiani non sono migliori dei politici che li rappresentano, è evidente che i partiti politici non svolgono più bene la loro funzione, ammesso che l’abbiano mai fatto. [MORE]

All’art. 49 della Costituzione leggiamo infatti: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Dunque i partiti dovrebbero essere il cuore della democrazia; di fatto, si sono trasformati in “macchine di potere e di clientela”, secondo la mirabile definizione di Enrico Berlinguer. Macchine di potere e di clientela nelle mani di strettissime gerarchie. Privi di una reale vita democratica (non sono affatto “scalabili”), lungi dall’essere promotori della partecipazione delle masse, si presentano come conglomerati disomogenei fondati sulla sola esigenza di difendere una fetta di potere. Lo stesso Presidente Giorgio Napolitano non ha dubbi: “I partiti sono sempre meno autorevoli ed è quindi necessario dar loro strutture più democratiche”. Ipse dixit.

È dunque ragionevole sostenere che la cosiddetta antipolitica sia in larga misura il prodotto della cattiva politica. Anzi, la vera antipolitica è senza dubbio quella che si fa troppo spesso nei palazzi del potere, quando prevalgono interessi personali e illegittimi. Per ridare credibilità alla politica, si potrebbe cominciare con la riforma dei partiti politici nella direzione sapientemente indicata dal Presidente Napolitano. Più democrazia nei partiti equivale a realizzare davvero il dettato costituzionale, colpevolmente ignorato da oltre sessant’anni. Se poi i partiti non fossero in grado di autoriformarsi, i cittadini potrebbero realizzare nuove forme di partecipazione politica. Si pensi ai movimenti. Essi nascono spontaneamente sul web intorno ad istanze diffusamente condivise, come la domanda di legalità, di difesa dell’ambiente, di contrasto della speculazione finanziaria, eccetera. Essi possono essere temporanei, cioè durare il tempo necessario per la realizzazione dei loro programmi. Dunque potremmo cercare nuovi sbocchi di organizzazione politica che eliminino i guasti della partitocrazia. Forse, una democrazia senza partiti non è solo possibile, ma è anche auspicabile. Forse, la critica berlingueriana dei partiti andrebbe pienamente riscoperta, così come il suo favore per i movimenti e per il governo di una “maggioranza morale.

 Andrea Leccese


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