Messico, la Dea americana ricicla il denaro dei narcos. Dal 1984
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CITTÀ DEL MESSICO, 20 DICEMBRE 2011 - «No, il governo messicano non ne era a conoscenza, e comunque è bene evidenziare come la Procura Generale della Repubblica ha già iniziato un'indagine per fare luce sulle responsabilità». Con queste parole Alejandra Sota, portavoce del governo messicano, ha risposto – all'interno del programma “Al Punto” della Univisión – alla domanda sul riciclaggio di denaro che gli uomini della Dea (“Drug Enforcement Administration”), l'agenzia federale antidroga degli Stati Uniti farebbero per i cartelli del narcotraffico fin dal 1984.[MORE]
A denunciarlo per primo è stato il New York Times, che nelle scorse settimane ha raccontato come agenti sotto copertura prendano in consegna il denaro in territorio messicano due o tre volte a settimana, per poi depositarlo su conti correnti aperti, negli Stati Uniti, dagli stessi agenti o dai cartelli. Con il denaro “lavato”, poi, vengono acquistati beni o servizi utilizzati direttamente dai cartelli. Secondo la fonte anonima intervistata dal quotidiano, in alcuni casi i riciclatori si farebbero pagare delle vere e proprie commissioni per i servizi forniti o, in altri casi, arrestando i narcotrafficanti al momento dello scambio (che è poi l'unica cosa che dovrebbero realmente fare).
Tali operazioni erano state rese illegali nel 1998, quando alcuni agenti americani avevano condotto un'operazione senza il permesso del ministro della Giustizia. Con il maggior coinvolgimento degli Stati Uniti nella narco-guerra, però, sarebbero nuovamente riprese.
La versione ufficiale, naturalmente, “discolpa” i funzionari statunitensi, sostenendo che solo così si possa arrivare a capire come i cartelli trasferiscono negli Stati Uniti il denaro, data anche l'impenetrabilità delle reti finanziarie da loro create. Al di là della fondatezza di questa tesi, comunque, i risultati del lavoro della Dea sono assolutamente negativi. Come se non bastasse, poi, lo scandalo “Fast and Furious” (ne abbiamo parlato qui) è tutt'altro che concluso, così da alimentare ancor di più le voci sull'ambiguità dell'amministrazione americana nei confronti dei cartelli.
I record dell'Amministrazione Calderón Hinojosa. 28.025 morti classificati dal Sistema nazionale di sicurezza pubblica come “senza dati” o “altro”. Ciò significa che per il 46,38 per cento dei morti della “narcoguerra” degli ultimi cinque anni non sono state definite generalità e risultano, quindi, anonimi. È quanto risulta da una indagine tenuta dal settimanale Zeta, che ha incrociato i dati delle schede informative della segreteria di Sicurezza Pubblica, sia municipale che statale e le statistiche in possesso delle procure e del ministero della Giustizia con le informazioni del Sistema Nazionale di Informazioni. Dai dati, dunque, risulterebbe qualcosa come 60.420 morti per la lotta al narcotraffico voluta da Felipe Calderón Hinojosa (il cui mandato è iniziato nel 2006 e si concluderà il prossimo anno) che nel giro di pochi anni è passato dai quasi tremila del 2007 ai quasi ventimila di quest'anno (dati compresi tra gennaio ed il 31 ottobre), che rappresentano – stando sempre a quanto sostengono dal settimanale – a circa il 75,5 per cento di tutti gli omicidi commessi durante il periodo “calderonista”.
Alla “lista” dei record negativi – è Historiasdelnarco.com a parlarne - va aggiunto anche l'aumento degli attentati contro funzionari dello stato, passati dai 274 del 2007 ai 625 del 2010. Gli stati più colpiti Michoacán, Chihuahua, Nuevo León, Guerrero, Tamaulipas, Coahuila e Hidalgo. Per il secondo anno di fila inoltre, il Messico si conferma come il paese dove è più pericoloso fare il giornalista. Secondo un report della Press Emblem Campaign, una organizzazione non governativa svizzera che ha fissato in 106 – uno in più dello scorso anno – i giornalisti uccisi in tutto il mondo nel 2011. di questi dodici sono messicani, «ma la cifra sarebbe molto più alta se si includono anche i giornalisti spariti», sottolineano dalla ong.
Andrea Intonti