Intervista a Michele D'Avenia, il poeta della tela alla continua ricerca della bellezza
Entra nel nostro Canale Telegram!
Ricevi tutte le notizie in tempo reale direttamente sul tuo smartphone!
MESSINA, 24 MAGGIO 2013 - Artista messinese, amante della propria città e fortemente legato alla sua terra, Michele D’Avenia è qui che opera e realizza le sue creazioni di straordinaria bellezza. Pittore e scultore di pregevole maestria, D’Avenia ci regala scorci di quotidiano che esprimono quanto di più leggiadro è racchiuso in ogni piccolo gesto che compiamo con estrema naturalezza, spesso dimentichi di quanto nelle piccole cose sia la vera essenza umana. Il noto artista siciliano si racconta ai microfoni di infooggi.it donandoci momenti di puro lirismo.
Una “pittura di silenzio” in un mondo di “rumore”, così definì le sue opere il critico d’arte Lucio Barbera nei “Racconti” del 1998, sottolineando anche il legame che le sue creazioni mantengono con il presente, a discapito di chi ritiene che la pittura figurativa sia oggi anacronistica e fuori dal tempo. Cosa cerca D’Avenia nell’arte? Essa è più rifugio o più espressione che pone l’accento sulla realtà stessa?
“Io credo che in ogni caso la pittura, come tutte le forme d’arte, rappresenti la necessità che ognuno di noi ha di comunicare qualcosa, esigenza che ogni individuo esprime in modo diverso. Il semplice mettere in evidenza una capacità tecnica serve a poco se non c’è dietro la necessità di raccontare qualcosa. Io cerco di rendere poetico, o meglio ancora mi sforzo di rilevare ciò che è già poesia: un gesto di vita quotidiana, della propria donna, o di qualcuno che ti colpisce particolarmente, che potrebbe normalmente passare inosservato, o anche l’attenzione verso un oggetto del quotidiano, che se messo in evidenza, colto da una luce artificiale o naturale possa esprimere quella poesia e quella bellezza che racchiude in sé”.
Grande precisione nei dettagli e riproduzione quasi fotografica, nascondono in realtà un’interpretazione del tutto personale di quei momenti “quotidiani”, che vengono fissati sulle tele come istantanee, filtrate, però, dalla personalità stessa dell’autore. Da cosa nasce l’ispirazione che spinge a “bloccare” nel tempo momenti così naturali?
“In me in realtà non c’è la necessità di una pittura fotografica, non voglio essere etichettato come pittore iperrealista, perché, anche se vi è nelle mie opere un’esigenza di precisione, sicuramente non è quello il mio scopo ultimo. La pittura iperrealista, che ebbe il suo massimo exploit negli anni settanta, era una sorta di sfida dell’autore con se stesso, nell’intento di superare la macchina fotografica, al fine di compiacersi del risultato finale. Ma in me tutto questo non c’è. Più che di pittura fotografica parlerei semmai di pittura naturalistica, il più veritiera possibile. Caravaggio stesso aveva tagli meravigliosamente fotografici ma non faceva fotografia, le sue erano opere più naturalistiche che realistiche. L’arte deve essere un mezzo per dare lettura di un messaggio, trasportare l’emozione provata e raffigurarla. Io mi sono sempre visto quasi come un regista che crea un film insieme al fruitore. Realizzo un fermo immagine di una situazione che ho vissuto e quel momento poi continua a vivere in chi lo recepisce, con l’esperienza e la storia che ognuno porta con sé”.
Non pochi hanno associato alle rappresentazioni “concrete” delle sue opere altrettante figurazioni simboliche. Quali sentimenti o concetti si nascondono dietro una realtà apparentemente certa?
“Il simbolismo è per me un discorso molto arcaico. Negli anni scorsi in effetti, nell’esprimere l’esigenza che avevo di comunicare, caricavo i miei dipinti di immagini con forte simbologia. Un esempio di questo è la mia opera “Maternità oggi”, che risale a circa vent’anni fa. In questo dipinto, che rappresenta la difficoltà di una donna in carriera di poter diventare madre, per la paura di non riuscire ad esprimere tutta la mia voglia di comunicare, caricai il dipinto di elementi simbolici, come il mazzo di carte al centro che rappresenta il gioco della vita, o la collana di perle simbolo di lussuria. Con la maturità, invece, non ho più avuto bisogno di esprimere le cose in questo modo, ed ho capito che lo si può fare con molta più semplicità. Oggi dipingo senza aggiungere troppe chiavi di lettura, solo piccoli segni che fanno capire ciò che voglio esprimere. Sicuramente il lavoro di oggi è molto più difficile perché più attento alle piccole cose”.
Partendo dal presupposto che l’arte nasce sì dall’autore ma vive in ciò che suscita in chi la riceve, sappiamo che spesso la critica d’arte si fa interprete del pensiero stesso dell’autore. Quanto lei si rivede in ciò che altri hanno scritto sui suoi prodotti artistici?
“Mi rivedo abbastanza, e devo dire che io ho avuto la fortuna di conoscere persone, quali Lucio Barbera capace di entrare nell’anima del pittore anche senza conoscerlo, che hanno scritto di me nel modo migliore, leggendo i dipinti rispettando sempre la mia personalità. Ma devo dire che non sempre è così. Il novecento ha fatto scuola in questo con affermazioni incredibili, etichette varie affibbiate ad artisti e perpetuate nel tempo sulla scia di chi prima aveva scritto. Ma ripeto io sono stato fortunato e adesso anche mettere a nudo ciò che ho dentro attraverso le mie opere è diventato piacevole”.
Al momento, fino al 26 maggio, circa 70 tra suoi dipinti e sculture sono in mostra presso le Sale Duca di Montalto del Palazzo Reale di Palermo, in una esposizione dal titolo “La bellezza è possibile”. Alla mostra si potrà visionare anche la sua scultura, vincitrice del premio “Arte Mondadori 2004”, dal titolo “L’altra faccia del peccato”. Cos’è e in cosa si trova la bellezza per l’artista D’Avenia?
“La bellezza non è altro che quello che ricerco costantemente, con la consapevolezza che si può anche non afferrarla, ma sono sempre comunque spinto dal desiderio di raggiungerla in tutto ciò che faccio. Non la bellezza oggettiva, è chiaro, ma quella che trovi un po’ ovunque, come il bene e il male. Essa è in qualunque cosa, puoi trovarla in uno scorcio, in un effetto di luce e ombra che mette in evidenza un aspetto seducente di un oggetto. Nella scultura “L’altra faccia del peccato” vi è, ad esempio, un grande senso di pulizia e bellezza, ma nonostante questo la mela, sotto il suo candore, è contaminata, perché nella vita c’è sempre una qualche contaminazione. Anche nell’arte si è sempre in bilico, vi è una grande precarietà delle cose. In qualunque quadro c’è sempre una bellezza che colpisce con qualche elemento di corruzione che dà il senso di precarietà. La bellezza alla fine è un attimo, sta a noi coglierla!”. [MORE]
Katia Portovenero