Il giornalismo che cambia. Intervista a Dina Lauricella

Giulia Farneti
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PALERMO, 4 MARZO 2013 - Il giornalismo negli anni ha assunto forme diverse, dalla carta all’etere, la forza del suono, il senso del ritmo che i tempi radiofonici richiedono, poi la televisione con il susseguirsi di immagini montate ad hoc, è il videogiornalismo. Dina Lauricella ci apre una finestra sulle opportunità che il nostro tempo offre al giornalista di oggi. Con convinzione ed energia.[MORE]

La tua città natale è Palermo, città dove ti sei laureata in lingue. Come e perché hai sentito il bisogno di intraprendere la strada del giornalismo?

Ho cominciato a collaborare con i giornali locali quando ancora studiavo all'università. Mio nonno, editorialista del "L'ora" e direttore di "Curtigghiu" un foglio mensile, potremmo dire di "resistenza" contro lo strapotere Limiano, è senz'altro stato un modello ispiratore.

Il giornalismo non è nato per fare l’eroe o il martire. Da dove nasce il coraggio?

Non vedo un nesso diretto tra professione giornalistica e coraggio. La differenza la fanno i singoli e questo vale anche per chi si alza alle cinque e va in catena di montaggio.

La prima esperienza a Roma è stata a Radio Capital. Quali sono le differenze tra un giornalismo radiofonico e giornalismo per la carta stampata?

L'informazione radiofonica, specialmente l'approfondimento, richiede uno sforzo creativo completamente diverso rispetto alla carta stampata. La radio è come un giocattolo, dove la notizia prende forma attraverso suoni e ritmi, ma senza l'aiuto delle immagini, che sei tu a dover restituire affinché chi, abbrutito in mezzo al traffico, trovi gradevole il tuo racconto e resti sintonizzato!

Sei una videogiornalista freelance. Come lo si diventa?

Io ho avuto la fortuna, proprio grazie a radio Capital, di seguire un corso di videogiornalismo. Imparare a riprendere e a montare, con i mezzi che ci sono oggi a disposizione, è a portata di tutti. Oggi basta addirittura un palmare e un qualsiasi software di editing per produrre. Il problema è trovarsi nel posto giusto nel momento giusto e poter correre a offrire il tuo pezzo prima e meglio di tutti gli altri. Ho imparato moltissimo da video marker ma il mercato non è florido e anche quando il prodotto è di buona qualità tecnica, fai fatica a viverci.

Hai lavorato anche in Rai in programmi di cronaca nera come “Ombre sul giallo” e “Storie maledette” e per tre edizioni per “Mi Manda Rai Tre”. Cosa ti hanno lasciato e perché hai deciso di lasciare la Rai?

Franca Leosini, Piero Marrazzo e Andrea Vianello sono stati importanti ed indimenticabili compagni di viaggio. Con loro ho imparato a girare e a spulciare le carte giudiziarie. L'occasione Santoro la cercavo sin da quando guardavo Samarcanda, dopo una giornata di compiti e pallavolo. Seguirlo nell'avventura della multi piattaforma con Servizio Pubblico mi è sembrata una scelta naturale, coerente con un'ambizione che coltivavo da anni.

Cos’è per te il giornalismo televisivo?

Per me è il modo più divertente e interessante di esercitare questa professione. Più in generale credo sia la forma di comunicazione più incisiva sull'opinione pubblica, sebbene i giornali siano genericamente più autorevoli.

Questo è il tuo sesto anno nella squadra di Santoro. Perché hai deciso di continuare a farne parte?

Condivido un progetto, che va oltre Annozero o Servizio Pubblico. Credo in un'informazione libera e indipendente, e credo nella resurrezione della Rai come fabbrica culturale. Poter fare questa professione con chi si è intestato questa battaglia, è un grande privilegio.

Giulia Farneti e Alessandro Bertolucci

 

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Scritto da Giulia Farneti

Giornalista di InfoOggi

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