Geopolitica del petrolio: 1973, l'esordio dell''oro nero' come arma (3)
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MILANO, 26 NOVEMBRE 2012 – In Medio Oriente la situazione era diventata davvero drammatica e la minaccia reale dei Paesi arabi di usare l'arma petrolio, non feceva altro che acutizzare le tensioni in seno all’Alleanza Atlantica. Infatti, gli altri Membri del Consiglio di Sicurezza, se da un lato erano molto preoccupati per il fallimento delle due Superpotenze, dall’altro lato erano irritati per non essere stati consultati preventivamente(13). In pratica, "Nella questione mediorientale l’Europa veniva trattata come una 'non persona': la unperson di orweliana memoria"(14).
Alle prime ore del 25 ottobre, Kissinger telefonò all’ambasciatore britannico a Washington, Lord Cromer, per comunicargli che Nixon aveva ricevuto una lettera da parte di Leonid Brezhnev con il quale lo informava che, se gli Stati Uniti non avessero persuaso Israele a rispettare il cessate il fuoco, l’URSS avrebbe agito unilateralmente(15). Kissinger giustificò gli Stati Uniti per non aver informato immediatamente gli alleati, ma la lettera di Brezhnev aveva fatto scattare lo stato d’allerta, facendo passare in secondo piano tutto il resto(16). Era stata una misura estrema legata allo stato d’emergenza. Secondo Kissinger, l’imminenza del pericolo non aveva consentito uno scambio di vedute e, molto probabilmente, gli Stati Uniti non avrebbero nemmeno preso in considerazione una posizione diversa dalla loro.
L’attenzione di Washington era tutta concentrata su una possibile mossa militare sovietica. Per mettere fine al confronto sovietico-americano e far rientrare la crisi, il 25 ottobre, gli Stati Uniti avanzarono la proposta, inserita nella Risoluzione 340, di una forza d’emergenza delle Nazioni Unite dalla quale fossero esclusi tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Gli israeliani accettarono di adempiere a quest’ultima risoluzione ONU lo stesso 25 ottobre. In questo modo si riuscì a bloccare lo scontro armato e a riportare le cose nell’ambito della sfera diplomatica. A questo punto, però, lo scontro tra gli Stati Uniti e i loro alleati era scontato. Francia e Gran Bretagna protestarono per la loro estromissione.
La crisi del Medio Oriente aveva fatto emergere la reale situazione nei rapporti transatlantici. Infatti, la scarsa considerazione americana nei confronti della vulnerabilità europea sul fronte energetico aveva incrinato ulteriormente i rapporti fra le due sponde dell’Atlantico. Gli Stati Uniti si rendevano conto del fatto che l’Europa avevano una dipendenza del petrolio arabo maggiore rispetto alla loro, ma non erano d’accordo sul fatto che la vulnerabilità europea sarebbe diminuita dissociandosi dell’azione americana.
La crisi fra Stati Uniti e Comunità Europea raggiunse il suo apice il 6 novembre 1973, in seguito ad una riunione dei ministri degli Esteri della Comunità a Bruxelles, dove i Nove cercarono una soluzione comune alla questione in Medio Oriente. La Dichiarazione dei Nove chiedeva alle parti coinvolte nel conflitto il ritorno immediato alle posizione occupate fino al 22 ottobre, concordemente alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza nn. 339 e 340. I presenti erano convinti che un ritorno alle suddette posizioni avrebbe reso più semplice trovare una soluzione. I Nove speravano fermamente che, seguendo le misure della Risoluzione ONU n. 338 del 22 ottobre, le negoziazioni avrebbero condotto ad una pace giusta e duratura attraverso l’applicazione n.242. La Comunità Europea riteneva che un accordo di pace avrebbe dovuto mirare al ripristino dei confini esistenti prima del conflitto arabo-israeliano 1967. Ciò significava che Israele avrebbe dovuto lasciare i territori occupati con la forza. Inoltre, l’accordo doveva garantire il rispetto della sovranità, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale di ciascuno degli Stati coinvolti e il loro diritto di vivere in pace dentro confini sicuri e riconosciuti. Infine, per garantire la pace, era fondamentale il riconoscimento dei diritti legittimi dei palestinesi(17). [MORE]
La Comunità Europea attraverso tale azione, tra le altre cose, desiderava persuadere gli Stati arabi a moderare il loro embargo nei confronti dell’Olanda(18). Tuttavia, gli europei per essere accettati come garanti del regolamento di pace dovevano essere uniti ed essere armati. Dovevano, dunque, fare l’Europa e questo era fondamentale anche per arrestare la paralisi progressiva indotta dal boicottaggio del petrolio. La suddetta Dichiarazione determinò una netta frattura fra gli Stati Uniti e i loro alleati nei confronti della questione arabo-israeliana.
Kissinger, che a settembre era stato nominato Segretario di Stato, informato della decisione europea, la giudicò come un gesto per conquistarsi la benevolenza dei paesi produttori di petrolio, al fine di anticipare un eventuale successo diplomatico americano. L’atteggiamento assunto dagli alleati europei, per Kissinger, rischiava di avere gravi conseguenze per tutti. Al fine di stemperare le tensioni, il Segretario di Stato americano chiese ed ottenne un confronto con i Nove, il quale ebbe luogo il 10 dicembre a Bruxelles, in occasione della riunione semestrale di tutti i ministri degli Esteri della NATO.
Kissinger, per placare le lamentele sulla mancata consultazione degl’alleati in occasione dell’allarme, affermò che l’azione americana aveva evitato una vittoria dei sovietici, la quale avrebbe potuto rafforzare l’influenza dell’URSS. Inoltre, Kissinger sottolineò il bisogno di un’azione comune per risolvere la crisi energetica. Infatti, se gli Stati Uniti, da soli, avrebbero potuto risolvere i loro problemi con gran difficoltà; l’Europa, invece, non ci sarebbe mai riuscita.
Dopo il discorso Kissinger, Michel Jobert (ministro degli affari esteri francese), che aveva chiesto di parlare per ultimo, continuò la linea dura assunta nei confronti degli americani, ponendo l’accento sulla coegemonia delle due Superpotenze. Continuò a sostenere che l’Europa avrebbe dovuto elaborare una politica autonoma per preservare i propri interessi. L’incontro tra Kissinger e i Nove non aveva fatto altro che porre l’accento sul malessere dei suddetti rapporti. Per questa ragione il Segretario di Stato americano tentò un’altra apertura conciliante al fine di distendere i toni.
Tuttavia, l’iniziativa lanciata da Kissinger, il 12 dicembre, durante il suo discorso alla Society of Pilgrims di Londra, non migliorò di certo la situazione. Parlando al pranzo di gala, egli propose all’Europa, al Giappone e al Nord America la formazione di un Gruppo d’azione per l’energia composto da personalità autorevoli e prestigiose con il mandato di sviluppare, entro tre mesi, un primo programma d’intervento per la collaborazione in tutti i settori del problema energetico. I paesi produttori avrebbero ricevuto un incentivo al fine di incrementare la loro produzione. Inoltre sarebbero stati invitati ad unirsi al Gruppo d’azione, in modo tale da poter perseguire un interesse comune, nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti(19). Gli Stati Uniti avrebbero lasciato decidere ai Nove se partecipare come Comunità Europea.
Come era già successo in passato, la Francia bloccò anche quest’ultima proposta di stampo americano, continuando a sostenere che la Comunità Europea doveva elaborare una propria politica energetica, proponendo un dialogo arabo-europeo. Questo fu l’oggetto della riunione dei Capi di Stato e di Governo, a Copenaghen il 14-15 dicembre. I nove tentarono di formulare una politica comune nei confronti della crisi energetica, ma riuscirono soltanto a tracciare delle linee guida per una politica di risparmi energetici. L’iniziativa dei ministri degli Esteri di quattro Paesi arabi di presentarsi alla Conferenza e di essere ricevuti senza difficoltà dai Nove rese le divergenze ancora più evidenti. Infatti, questo era stato un privilegio che non era mai stato concesso agli Stati Uniti.
Comunque sia, “Il punto di massimo fiorire della cooperazione politica europea”(20) fu la Dichiarazione sull’identità europea formulata al suddetto vertice di Copenaghen e fortemente voluto da Jobert. Nelle intenzioni francesi, la Dichiarazione, “[…] doveva servire come carta dell’indipendenza della Comunità nei confronti degli Stati Uniti”(21). Tuttavia, gli obiettivi della visione di Jobert “eccedevano in realtà la portata delle sue braccia”(22).
La Comunità Europea, però, aveva scelto il momento meno opportuno per decidere di agire autonomamente rispetto agli Stati Uniti. Così, il manifesto dell’identità europea, in cui erano state tracciate le linee direttrice della politica estera che la Comunità avrebbe dovuto seguire negli anni successivi, “sembra più chiudere che aprire una promettente stagione”(23).
Infatti, l’anno 1973 si chiuse drammaticamente con lo “shock petrolifero”. Il 23 dicembre l’Iran annunciò che Sei dei principali produttori di petrolio del Golfo avevano deciso di aumentare il prezzo da 5,10 a 11,65 dollari al barile, quadruplicando il prezzo rispetto ad ottobre. Tale aumento dei prezzi ebbe il ruolo di acceleratore e diffusore dell’inflazione, già messa in moto dalla rapida espansione simultanea di tutti i maggiori paesi industriali nel 1972, finendo per mettere in ginocchio le economie dei Paesi industrializzati. Questo rimise in discussione tutti gli equilibri e tutte le certezze delle grandi economie, avviando la ristrutturazione degli apparati industriali e delle bilance dei pagamenti. Così, la questione petrolifera si tradusse in crisi politico-economica e finanziario-monetaria.
All’inizio del 1974, gli Stati Uniti sembravano gli unici in grado di salvare le economie europee dall’impatto della crisi energetica. Infatti, dal punto di vista economico, oltre ad essere più autosufficienti nei confronti delle risorse energetiche, si trovavano in una posizione relativamente più forte rispetto all’Europa. In più, in termini politici, oltre agli Stati Uniti, nessun altro Paese occidentale aveva sufficiente influenza in Medio Oriente e su Israele da poter creare le condizioni per un accordo di pace. Nonostante ciò, Nixon (che ormai aveva perso di credibilità, visto che era nel pieno dell'occhio del ciclone "Watergate"), non riuscì a convincere gli alleati atlantici a fare un fronte unico.
Così, la guerra del Kippur finì per ridefinire gli equilibri anche nell’Atlantico. L’America ne uscì rinforzata, l’Europa comunitaria, invece, fu “il vero perdente delle vicende mediorientali. Economicamente vulnerabili e politicamente ambigui, gli europei adottarono un atteggiamento furbesco e conciliante che non giovò alla loro immagine”(24). Alla fine non vi fu una politica atlantica, ma neppure una politica europea per il Medio Oriente. Gli Stati Uniti riuscirono ad affrontare tutte le difficoltà volgendo la situazione a proprio vantaggio, mentre l’Europa ne uscì divisa ed in crisi. Tuttavia, chi subì le conseguenze maggiori delle frizioni fra le due sponde dell’Atlantico fu soprattutto l’Alleanza Atlantica, che ne uscì come un’organizzazione regionale a ristretti confini, ridotta ad una mera espressione retorica.
(Precede prima e seconda parte)
Fonti:
13) H. KISSINGER, op. cit., p. 563.
14) DUCCI, ROBERTO, Le speranze d’Europa (carte sparse 1943-1985), a cura di Guido Lenzi, Rubettino, 2007, p.187.
15) DBPO, Series III, Vol. IV, doc. n. 328, Washington tel. 3327, NFW 10/16, 25 October 1973, CD-ROM n. 1.
16) Idem, doc. n. 329, Washington tel. 3328, Douglas-Home paper, 25 October 1973, CD-ROM n. 1.
17) Idem, doc. n. 375, Brussels tel. 508, SMG 1/4 , 6 November 1973, CD-ROM n. 1.
18) Idem, doc. n. 383, Cabinet minutes (extract): CM (73) 53rd conclusions, minute 2,CAB 128/53, 8 November 1973, CD-ROM n. 1.
19) Idem, doc. n. 457, Tel. 1534 to UKREP, Brussels, AMU 12/1, 13 December 1973, CD-ROM n. 1.
20) MELCHIONNI, MARIA GRAZIA, Quale domani per questa Europa?, Roma, Edizioni Studium, 2004.
21) Ibidem.
22) R. DUCCI, op. cit., p. 333.
23) Idem, p. 180.
24) S. ROMANO, op. cit., p. 153.
Rosy Merola