Geopolitica del petrolio: 1973, l'esordio dell''oro nero' come arma (2)
Economia Lombardia

Geopolitica del petrolio: 1973, l'esordio dell''oro nero' come arma (2)

domenica 25 novembre, 2012

MILANO, 25 NOVEMBRE 2012 - Alla vigilia della guerra dello Yom Kippur, in Medio Oriente, la geografia politica era rimasta immutata dopo la guerra arabo-israeliana del giugno 1967 (la terza guerra arabo-israeliana, consumatasi tra il 5 e il 10 giugno, per questo definita “guerra dei Sei Giorni”, combattuta tra Israele da una parte ed Egitto, Siria e Giordania dall'altra. Fino al quel momento, Israele occupava più del territorio concessogli dall’ONU, ma il resto della Palestina era nelle mani arabe. Al termine del conflitto, Israele aveva sottratto la Penisola del Sinai e la Striscia di Gaza all'Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est alla Giordania e le alture del Golan alla Siria), con Israele che occupava i territori conquistati e il canale di Suez che restava bloccato.

Nell’autunno 1973, il Presidente egiziano Mohammed Anwar es-Sadat, d’intesa con la Siria, decise di invadere Israele. Le operazioni cominciarono nella notte del 6 ottobre, mentre gli israeliani erano assorti nei riti del digiuno e del pentimento prescritti da una delle loro principali feste religiose, lo Yom Kippur. In poche ore, egiziani e siriani conquistarono terreno rapidamente inoltrandosi nel Sinai e nel Golan. Alla fine della giornata, l’Egitto aveva stabilito una linea su tutta la costa orientale di Suez e Israele era sulla difensiva.

Henry Kissinger, lo stesso 6 ottobre, cercò il supporto degli alleati per ottenere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al fine di chiedere il cessate il fuoco e per tornare allo status quo ante(2), ma Francia ed Inghilterra non furono disposte ad appoggiarlo. Infatti, l’Inghilterra era riluttante a chiudere una risoluzione che imponesse agli arabi di ritirarsi dai territori su cui spettava loro di diritto la sovranità. Il Governo di sua Maestà, invece, propendeva per una risoluzione che consentisse la riaffermazione della Risoluzione 242 (votata all’unanimità dal Consiglio di Sicurezza, il 22 novembre 1967, per porre fine al conflitto del giugno 1967) per cessare il fuoco, e chiedesse al Segretario Generale delle Nazioni Unite di promuovere i negoziati(3).

In realtà, l’offensiva militare contro Israele dell’ottobre 1973, più che una guerra di conquista fu soprattutto una mossa politico-militare ordita da Sadat per indurre le grandi potenze ad intervenire, a separare i contendenti e a focalizzare l’attenzione sull’esigenze egiziane. Per Kissinger, il conflitto arabo-israeliano doveva essere visto in termini di rapporti Est-Ovest. Gli eventuali successi egiziani si sarebbero dovuti interpretare come un rovesciamento dell’influenza americana in Medio Oriente. Tuttavia, a prescindere da ciò, con il suddetto conflitto la questione energetica divenne uno dei problemi comuni che il mondo Occidentale fu costretto ad affrontare. I Paesi industrializzati dell’Occidente dipendevano ormai dal petrolio, cosa che li poneva in una posizione di vulnerabilità.

Dipendenza e vulnerabilità divennero drammaticamente evidenti proprio nel corso della guerra dello Yom Kippur. Infatti, fu proprio questo il momento in cui i Paesi arabi sfoderarono una nuova arma: il petrolio(4). L’uso inedito dell’arma petrolifera rappresentò la vera sorpresa della guerra, sia per l’ampiezza, che per le conseguenze. Questa entrò in campo l’8 ottobre 1973. I paesi dell’OPEC (Organizzazione Paesi Esportatori Petrolio), nel corso di un negoziato, chiesero il raddoppiamento del prezzo ufficiale del petrolio da tre a sei dollari al barile, ma la loro richiesta non fu accolta, così il negoziato si bloccò.

Intanto la guerra sul territorio continuava: le due Superpotenze, così come Sadat aveva auspicato, accorsero in aiuto dei loro rispettivi alleati organizzando due ponti aerei: uno dagli Stati Uniti verso Israele, l’altro dall’URSS verso l’Egitto. Il 10 ottobre, dopo cinque giorni di guerra, l’URSS iniziò a rifornire Siria ed Egitto. Nel frattempo, Kissinger continuava ad insistere con il Governo britannico sulla necessità di fare cessare il fuoco attraverso una risoluzione di tregua dell’ONU. Il Primo Ministro inglese, Edward Heath, ed Alec Douglas-Home (Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth) sostenevano che bisognava attendere il momento psicologico giusto. Il Governo inglese era stato informato dal Cairo e da Tel Aviv che l’accettazione della tregua da parte degli egiziani era subordinata al ritiro totale di Israele e al ripristino dei confini in essere nel 1967(5). Sadat cercava di ottenere, attraverso i canali diplomatici, il ritiro di Israele da una parte del Sinai. Egli, inoltre, fece sapere che si sarebbe avvalso del supporto della Cina e dei cinesi per porre il veto al progetto di stampo americano, volto ad ottenere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite(6). [MORE]

L’Amministrazione Nixon (a quell’epoca al governo degli Stati Uniti) si trovò in una posizione effettivamente difficile, il Congresso premeva per avere qualche tipo di risposta sulla situazione. Inoltre, Israele, costretto alla difensiva, era già allo stremo a causa dell’esaurirsi delle proprie scorte militari. Così Washington, non potendo più indugiare, il 13 ottobre diede il via al ponte aereo verso Israele. Il lancio del ponte aereo americano rappresentò il primo motivo di contrasto con gli alleati europei. Infatti, uno per volta, questi negarono il proprio appoggio alla suddetta iniziativa americana.  La Turchia, già il 10 ottobre, aveva fatto sapere a Washington che la base aerea di Incirlik e le altre strutture americane dislocate sul loro territorio erano a disposizione solo per le finalità NATO e, di conseguenza, non potevano essere impiegati per le operazioni inerenti la guerra in Medio Oriente(7).

Il 13 ottobre anche la Grecia assunse lo stesso atteggiamento. Così, ad eccezione del Portogallo, dei Paesi Bassi e della Repubblica Federale Tedesca, gli altri membri della NATO, direttamente o indirettamente vietarono agli Stati Uniti l’uso del loro spazio aereo. A causa di ciò, gli aerei americani dalla Germania furono costretti a sorvolare l’oceano Atlantico, a costeggiare la Francia e la Spagna, per entrare nel Mediterraneo a Gibilterra e raggiungere direttamente Israele. Gli Europei si giustificarono facendo appello ad un argomento legale, secondo cui gli obblighi del Patto Atlantico non includevano l’area del Medio Oriente.

Il 16 ottobre, all’indomani dell’avvenuto rifornimento di armi ad Israele ad opera degli Stati Uniti, i rappresentanti della Comunità Europa furono ricevuti dal ministro degl’Esteri dell’Arabia Saudita, il quale li avvertì che, se i Nove non avessero fatto delle pressioni sugli Stati Uniti per far loro cambiare atteggiamento nei confronti della disputa arabo-israeliana, l’Arabia Saudita avrebbe ridotto la propria produzione di petrolio(8). Intanto, a Kuwait City, i delegati dell’OPEC decisero un aumento del prezzo ufficiale del greggio del 70%, a 5,11 dollari, allineandolo al prezzo del mercato libero. Il giorno successivo, i delegati dell’Organizzazione dei Paesi Arabi Esportatori di Petrolio (OAPEC), senza l’Iran, annunciarono che gli Stati-membri avrebbero ridotto le loro produzioni di petrolio del 5% ogni mese, fino a quando Israele non si fosse ritirato dai territori occupati e al popolo palestinese non fossero stati riconosciuti i propri diritti. Il comunicato precisava che le misure restrittive non avrebbero colpito gli Stati che attivamente e materialmente stavano sostenendo la causa araba(9). Era evidente che si trattava di una misura adottata per colpire in modo specifico gli Stati Uniti. Il 18 ottobre l’Arabia Saudita annunciò che avrebbe aumentato ulteriormente tale quota, riducendo del 10% la propria produzione.

La situazione peggiorò quando Nixon chiese al Congresso uno stanziamento di 2,2 miliardi di dollari per aiuti ad Israele. La reazione araba fu fulminea. Il giorno successivo all’annuncio americano, l’Arabia Saudita proclamò l’embargo totale verso gli Stati Uniti(10). Kissinger, per portare avanti l’iniziativa diplomatica e per far rientrare la crisi, si recò a Mosca nella speranza di ottenere il supporto sovietico per raggiungere una tregua. I Sovietici, però, non erano ben predisposti, anche se non erano sicuri di voler appoggiare sino in fondo gli egiziani(11).

La visita di Kissinger a Mosca si risolse con la volontà dei presenti di rivolgersi al Consiglio di Sicurezza, al fine di ottenere una risoluzione che obbligasse le parti in lotta a cessare il fuoco entro venti ore dalla sua adozione, l’applicazione della Risoluzione 242 e l’apertura dei negoziati(12). Questi provvedimenti furono inseriti nella Risoluzione ONU n. 338 del 22 ottobre. Israele non accettò immediatamente di adempiere alla risoluzione, continuando l’avanzata verso Suez.

(Precede parte prima e segue parte terza)

Fonti:

2) DOCUMENTS ON BRITISH POLICY OVERSEAS (DBPO), Series III, Vol. IV, “The Year of Europe: America, Europe and the Energy Crisis, 1972-1974, doc. n. 249, Washington tel. 3117, NFW 10/9, 6 October 1973, CD-ROM n. 1, Abingdon, Routledge, 2006.
3) Idem, doc. n. 250, Washington tel. 3118, NFW 10/9, 6 October 1973, CD-ROM n. 1.
4) S. ROMANO,op. cit., pp. 145-146.
5) Idem, p. 149.
6) DBPO, Series III, Vol. IV, doc. n. 270, Tel. 2076 to Washington, NFW 2/29, 12 October 1973, CD-ROM n. 1.
7) Idem, doc. n. 279, Cairo tel. 832, MFW 10/9, 13 October 1973, CD-ROM n. 1.
8) Idem, doc. n. 296, Jedda tel. 492, MWE 2/12, 16 October 1973, CD-ROM n. 1.
9) Idem, doc. n. 304, Minutes of Cabinet Working Party on Oil Supplies, Wp (OS) (73) 2nd mtg, SMG 12/548/9, 18 October 1973, CD-ROM n. 1.
10) KISSINGER, HENRY, Anni di crisi, Milano, Sugarco ed., 1982, pp. 689-690.
11) DI NOLFO, ENNIO, Dagli imperi military agli imperi tecnologici. La politica internazionale del xx secolo ad oggi, Roma-Bari, Edizione La Terza, 2002, p. 329.
12) DBPO, Series III, Vol. IV, doc. n. 318, Moscow tel. 1220, PEM 15/1766 Moscow tel. 1221, File destroyed, 21 October 1973, CD-ROM n. 1.

Rosy Merola


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