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ROMA, 5 FEBBRAIO 2012 - Terzo appuntamento con il nostro approfondimento sulla guerra di mafie romana (qui e qui le prime due puntate). Prima di andare ad approfondire le “biografie da emigrazione” delle organizzazioni, è bene porsi una semplice, quanto fondamentale, domanda: cosa ha spinto fin dagli anni Settanta le organizzazioni criminali a spingersi verso la Capitale?
Le organizzazioni criminali, in maniera diretta o indiretta – come nel caso delle mafie estere attraverso “delegazioni diplomatiche” - nella capitale e nella regione ci sono tutte. I primi insediamenti di camorra, 'ndrangheta e Cosa Nostra si devono alle latitanze, come nel caso dei Bardellino, che consideravano il Sud-Pontino nient'altro che una continuazione del loro territorio, o con i soggiorni obbligati, che hanno permesso, ad esempio, alla criminalità di mettere le mani sul mercato ortofrutticolo più grande del Sud Italia, cioè quello di Fondi, in provincia di Latina, dove sembra sia avvenuta una vera e propria spartizione della merce: le arance a Cosa Nostra, i pomodori alle 'ndrine, le mele annurche alla camorra.
È stato proprio partendo da questo che, in maniera più o meno voluta, le cosche si sono ritrovate con un'intera regione di cui poter usufruire, utilizzandola anche come “territorio neutro” sul quale dipanare le loro controversie, interne o esterne che fossero.[MORE]
Estrapolare i boss dai loro territori – era questa l'idea alla base dei soggiorni obbligati al centro e al nord Italia – ha avuto però più lati negativi che positivi. Non solo infatti, come le cronache giudiziarie hanno più volte raccontato, i boss continuavano a comandare anche da lontano, ma slegarli dal loro contesto di riferimento in termini territoriali e soprattutto dal retaggio simbolico-culturale, ha permesso la nascita di alleanze trasversali, come avvenuto tra calabresi e campani per il mercato della droga sul litorale romano e nel Basso Lazio. Sul fronte transnazionale, invece, nigeriani e colombiani si occupano – in partnership con la 'ndrangheta (soprattutto con la 'ndrina dei Gallace, come evidenziato dall'operazione “Appia-Mithos”) – del trasporto della cocaina sul territorio, delegando poi ad algerini e marocchini lo spaccio al dettaglio e quello della cannabis, così come “patti della coca” sono stati rilevati con i serbi e con gli albanesi, alleatisi con la camorra, in particolare con il clan dei Gallo-Cavaliere di Torre Annunziata.
Fiumicino con l'aeroporto nonché Viterbo e Civitavecchia per il traffico via mare costituiscono le porte d'ingresso della droga nella regione.
«La 'ndrangheta, i clan della camorra, i clan siciliani, la mafia cinese, la mafia russa e tutte le mafie etniche investono i loro immensi capitali nel mercato globale, in tutti i settori economici». A dare il quadro della situazione è, in un'intervista rilasciata per il dossier laziale di Libera, Antonio Turri, che dell'associazione antimafia è referente per quella regione, il quale ricorda anche come sia «del tutto fuorviante ritenere che le mafie non siano interessate a Roma e al Lazio, ai grandi mercati legali ed illegali della Capitale. Il sequestro a Roma di un noto ristorante del centro storico fa seguito alle decine e decine di beni immobili, tra cui negozi e capannoni industriali, già definitivamente confiscati nella capitale e nella regione a 'ndrine calabresi. Molti esponenti di spicco della mafia calabrese risiedono da anni nel Lazio. Alcune di queste famiglie possiedono intorno la Capitale aziende agricole con centinaia e centinaia di ettari di terreno e riciclano denaro sporco in particolare nel ciclo del cemento, del commercio, del turismo e nel settore degli appalti pubblici».
Droga, rifiuti, cemento e politica. Sono questi gli interessi principali della criminalità organizzata nella regione.
Dopo la droga c'è il cemento, che vede (dati del già citato dossier di Libera) Latina come punto di snodo regionale e con una percentuale d'infiltrazione criminale – come sostiene Ezio Giorgi della Fillea Cgil (la Federazione italiana dei lavoratori del legno, dell'edilizia e delle industrie affini) – che dalla Città eterna in giù è riscontrabile almeno in un cantiere su quattro. Legati al ciclo del cemento ci sono poi tutta una serie di diramazioni, dall'uso del cemento depotenziato (pratica ascrivibile non solo alla criminalità organizzata) alle forme più classiche di lavaggio dei proventi illeciti quali la creazione di imprese fittizie – o improduttive – o passaggi di proprietà a prezzi gonfiati.
Ecocamorra Connection. Insieme a Frosinone e Viterbo, Latina è, nella regione, il centro nevralgico dei reati ambientali. Ciclo del cemento, movimento terra, escavazione abusiva di cave e, soprattutto, rifiuti. Sono queste le strade maggiormente battute dai “signori degli inerti” (come venne chiamata l'operazione del Raggruppamento operativo speciale per la tutela ambientale di Roma e di Civita Castellana del 2009), cioè i clan della camorra. Fu con questa operazione che si scoprì come proprio nel viterbese fosse stato creato uno degli snodi principali per il traffico di rifiuti, speciali e non, tra Lazio, dove vennero interessati anche i lavori della linea B1 della metropolitana romana, Umbria e Toscana. Sarà comunque l'operazione “Black Hole” (“Buco Nero”) del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri (il Noe) di quello stesso anno a definire nel dettaglio la gravità della situazione.
Un omicidio in cerca d'autore. È proprio nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti che matura l'omicidio di don Cesare Boschin, 81enne parroco della chiesa di Sant'Annunziata di Borgo Montello, dieci chilometri da Latina, ritrovato dalla perpetua incaprettato, con un asciugamano sporco del suo sangue appoggiato sui piedi. Un assassinio la cui firma era lampante, ma che non volle essere letta. Era il 29 marzo del 1995, e ad oggi quell'omicidio è ancora in cerca d'autore. Gomorra e l'attenzione sui reati ambientali sarebbero arrivati qualche anno dopo. Forse anche per questo le forze dell'ordine dissero che il movente era da ricercarsi in una rapina finita male (nonostante i soldi fossero tutti nel portafogli e l'unica cosa ad essere sparite furono due agendine in cui il parroco annotava ogni cosa).
L'impollinazione. È bene, a questo punto, sottolineare come ben altra cosa sarebbe stata la proliferazione della criminalità organizzata – nel Lazio come nel resto della penisola - nel corso di questi ultimi decenni, se questo problema fosse stato capito e, soprattutto, ostacolato fin dall'inizio.
Se, infatti, i metodi di contrasto si sono naturalmente sviluppati nel corso del tempo, mentre sempre più lunghi si facevano i tentacoli di questa piovra intermafiosa, è pur vero che ancora oggi si tende a negare e minimizzare il fenomeno. Basti considerare che, nonostante la ormai lunga scia di sangue riversata sulle strade della Capitale (per rimanere al più stretto ambito di questo articolo), chi parla di guerra di mafie è ancora una stretta minoranza.
Niente di nuovo, comunque. La riduzione del fenomeno organizzato a semplice questione di mala, a semplice questione di ordine pubblico, si è già vista a Palermo, a Napoli, a Reggio Calabria e sappiamo come è andata a finire.
Prendere coscienza che nella capitale si sta assistendo alla fine della pax di Cosa Nuova è il primo passo per tentare di fermare questa “nuova-vecchia” (“nuova” perché se ne inizia a parlare con insistenza solo da qualche anno, “vecchia” perché esiste dagli anni 70) mafia e questa guerra che non si sa quando e come terminerà. E qui non c'è politica od operazione dei reparti speciali che tenga.
(foto: sharebook.it)
(3 - Continua)
Andrea Intonti