Corrispondenze egiziane/3: obiettivo elezioni
Estero Sicilia

Corrispondenze egiziane/3: obiettivo elezioni

mercoledì 18 gennaio, 2012

IL CAIRO, 18 GENNAIO 2012 - Continua la nostra "corrispondenza egiziana" (le prime due parti potete leggerle qui e qui) con Guglielmo Menichetti. Dopo aver cercato di capire, nella prima parte, quali sono stati i "preparativi" che hanno poi portato alle manifestazioni di piazza Tahrir nella prima parte ed esserci soffermati sul peso dell'esercito e di chi non è sceso in piazza, oggi ci soffermeremo sulle elezioni. [MORE]

Quale è stato il clima che si è registrato durante le elezioni? Hai avuto modo di rapportati con chi votava per la prima volta? Quali sono state le sue impressioni (e le tue)?

Le elezioni, come riferivano tutti i media sono state vinte in maniera preponderante dagli islamisti e sinceramente ci si aspettava un risultato del genere. Il dubbio era sulle percentuali tra il partito Libertà e Giustizia (Fratelli) e Luce (Salafiti),

Durante lo svolgimento delle elezioni ci sono stati brogli a detta di molti e ne ho visti come ne abbiamo visti tutti. Come la maggior parte degli Stati moderni, anche in Egitto è vietata per legge la campagna elettorale nel giorno delle elezioni. Il giorno stesso sono passato davanti a due seggi e sono stato investito da maree di volantini e ho visto i predicatori musulmani all'opera. Inoltre in questa sede merita ricordare che i Fratelli avevano già infranto la legge elettorale: il 5 novembre si è festeggiato il Eid el-Kebir (La Festa Grande), una rievocazione del sacrificio di Isacco dove mucche e capretti vengono sgozzati secondo un rituale e le carni vengono divise tra i proprietari delle bestie e i poveri. I Fratelli, nel sud del Paese, compravano voti in cambio di pezzi di carne. Anche questo naturalmente costituisce frode. Si vedano le eventuali vicinanze con le regalie con le quali i partiti e i sindacati anche in occidente comprino i propri voti.
 

Adesso i partiti stanno raccogliendo ciò che hanno seminato e i Fratelli in questo partivano certo avvantaggiati, anche perché la loro storia, come movimento è assai lunga e radicata nel territorio egiziano. Le percentuali dei seggi sono reperibili ovunque su internet e non lasciano molto spazio a complesse analisi politologiche: quando il 30% o più di un popolo assume un dato segno politico è una volontà compatta. Da questa volontà momentanea solo difficilmente si può arrivare a tracciare un discorso di ideologia o identità politico-sociale. Adesso nei giorni post-elettorali il clima è tranquillo, non ci sono casi di violenza di cui sono a conoscenza, qualcuno potrebbe pensare che effettivamente il momento di piazza abbia stremato tutti, anche chi non ha preso parte agli scontri.

Discorso a parte lo merita il complessissimo sistema elettorale

Cominciamo col parlare dei manifesti elettorali: oltre all'immagine raffigurante candidato e partito di affiliazione, con poche o assenti parole d'ordine, spiccano i tre modi per dare la preferenza a quel candidato: un numero che è quello del candidato, il nome stesso, ma per chi non ha l'alfabetizzazione necessaria per leggere e/o scrivere, problema ancora annoso qui in Egitto, si vota ricordando l'immagine che appare sul manifesto elettorale cui è collegato il candidato (una chitarra, un ombrello, una pipa, un disco volante...). Una guida chiara al sistema è quella pubblicata da "Election Guide". Così si comprende la lentezza di un sistema che pare fatto apposta per confondere le persone. Se si parla con i loquaci tassisti viene fuori la percezione di un sistema pieno di trappole e insoddisfacente (spesso il mestiere di tassista è visto come un ripiego quando carriere più elevate non vanno in porto, quindi è gente spesso acculturata. Parlando con il mio padrone di casa, un ragazzo di 20 anni che frequenta l'università lavorando, alla mia domanda su cosa pensasse delle elezioni mi ha risposto laconicamente: «Sono copto, io vado in chiesa e mi dicono cosa votare, loro (i musulmani) vanno in moschea e gli dicono cosa votare». Il che ancora ricorda pratiche invalse nel nostro paese da sempre. Certo c'è anche la strada, i caffè stracolmi di persone intente a parlare di calcio, politica e a leggere i quotidiani commentandosi uno addosso all'altro. I luoghi di aggregazione sono vari, ma forniscono, per quello che mi pare di capire, solo fonti di nuovi dubbi, di pensiero negativo e frustrato. Le conoscenze “dure”, prese da fonti attendibili, scarseggiano, il sistema politico è debole, ma si vuole andare a votare per assicurare al paese una via d'uscita migliore del passato, del presente almeno.
L'opinione è poi un'istanza che non sempre si manifesta in un voto, anche nel nostro paese sentiamo spesso l'intenzione di votare il “meno peggio”. Avere un'immagine chiara delle preferenze rimane cosa ardua anche perché c'è da comprendere cosa abbiano votato i vecchi iscritti al partito Nazional-democratico di Mubarak. Al momento si sono riorganizzati in vari schieramenti indipendenti che si collocano in un'area centro-secolarista, ma è facile pensare che la maggior parte dei vecchi decani si siano allontanati dalle città, a parte Kamal Ganzuri (designato primo ministro lo scorso novembre).
Un buon numero di vecchi militanti del Partito Nazionale Democratico (di centro-sinistra) sembra si possano spostarsi verso partiti marcatamente più islamisti come, ancora, i Fratelli. Inoltre c'è da chiarire il rapporto politici-attivisti di lungo corso e la piazza, il movimento di Novembre.

Sul quotidiano al-Masry al-Youmy si legge chiaramente che adesso gli islamisti si sono risolti non solo a ergersi a capi e protettori del movimento, ma hanno anche assunto la posizione di chiamare nuovamente la gente in piazza, come tuonavano i leader del partito Luce il 10 dicembre. Possibile, anzi probabilmente, che io non abbia i mezzi per comprende i mutamenti politici sottesi a questa cappa esteriore, ma non avanzerei a conclusioni affrettata né a dare nomi e etichette come la primavera araba stessa. Spodestare Mubarak, Ben Ali e Gheddafi è certo una grande svolta per il paese, ma la svolta non è conclusa né si conclude in sé stessa. Per andare avanti, eliminare politicamente quelle persone era necessario, ma non è una base sufficiente.
Il percorso che il paese sembra aver deciso di intraprendere è assai complesso, ricco di sfumature e incerto. Il paese adesso si trova ad esser guidato da forze che fondano la propria ispirazione politica in testi religiosi, dove la morale è profondamente segnata e c'è un giudizio divino a difesa della loro buonafede e della loro capacità amministrativa. Il sistema legale egiziano già adesso ha elementi shariatici, cioè relativi alla sharia (la legge islamica) ma è in realtà un calderone con molte leggi anche contraddittorie, che lascia i propri ufficiali nel caos interpretativo. Adesso si dovrà vedere che genere di sistematizzazione verrà proposta e che genere di progetto costituzionale verrà approntato. Sono sicuro che la prospettiva di partiti islamici forti al potere in una nazione cardine come l'Egitto spaventi molti in Europa.

C'è chi parla di una deriva violenta dell'Egitto post-elezioni

La deriva violenta appare nei gruppi religiosi minoritari o ghettizzati dal contesto politico (terrorismo jihadista ad esempio), come spesso succede con gli estremismi. Un gruppo dirigenziale forte di stampo religioso al potere, in linea teorica, nega le cause di questo fenomeno: la passerella politica certo porta potere e autorità, ma anche un codice e una grammatica espressiva. Inoltre espone gruppi come i Fratelli, che nascono prima come associazione popolare, poi come partito, a un doppio sguardo critico da parte della gente, che vorrà vedere quanto riusciranno a non tradire la propria natura adesso. In paesi come il Marocco dove la monarchia è di colore islamico, non si hanno notizie di movimenti particolarmente violenti ispirati a dettami religiosi, non si ha evidenza di fenomeni endemici e diffusi di tale forma. In paese come l'Algeria o l'Egitto si è arrivati a tali esiti dopo la caccia che il governo di marca secolare ha mosso contro di loro. Far entrare nel governo un gruppo potenzialmente estremista potrebbe, a rigor di logica, prevenirne le derive: non si creano gli spazi di violenza e contrapposizione cieca in cui fioccano sette e gruppi terroristici1. Il discorso poi va ampliato alle recenti uscite dello SCAF in materia di rapporto con gli islamisti usciti vincitori dalle elezioni, che potrebbe portare a un ulteriore rafforzamento della base politica più sensibile alle istanze religiose: la scusa della presenza degli islamisti nel governo e nell'assemblea costituente ha spinto i miliari a riporsi come difensori della rivoluzione di gennaio. Per portare avanti questa “missione” lo SCAF utilizza anche la censura, di cui il regime Mubarak fece largo uso. Questo ci spinge, secondo me, a ribadire il termine “insicurezza” nei confronti degli esiti, lungi dall'arrivare, della questione elettorale e del termine del periodo di movimento di piazza, che potrebbe tornare ad affacciarsi in questo lunghissimo inverno.


(foto: Studio1.it)
(3 - Continua)
Andrea Intonti

 


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