#Celochiedeleuropa/1. Lobby e Commissione Europea: chi controlla i controllori?
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#Celochiedeleuropa/1. Lobby e Commissione Europea: chi controlla i controllori?

venerdì 1 febbraio, 2013

BRUXELLES (BELGIO), 1 FEBBRAIO 2013 – Il 75% delle legislazioni nazionali arriva dall'Europa. A dirlo è Daniel Gueguén, «decano dei lobbisti di Bruxelles» nonché fondatore dell'European Training Institute, «una sorta di accademia del lobbying». Se le istituzioni europee indirizzano così tanto la nostra agenda politico-economica, è d'obbligo porsi una domanda: tutto quell'insieme di leggi, provvedimenti e disposizioni che arrivano sulle cronache dei nostri giornali da chi è influenzato? Insomma: chi spinge l'Europa a emanare queste disposizioni?

Rimanendo nell'ambito continentale, secondo quanto scritto nel rapporto redatto dall'allora parlamentare europeo Alexander Stubb, nel 2008 nelle istituzioni europee c'erano 15.000 lobbisti – o “rappresentanti di interessi” - e 2.500 organizzazioni. Sommando a questi – come evidenzia Gueguén – anche i lobbisti part-time e i semplici raccoglitori di informazioni, l'esercito dei decision shapers (che potremmo definire come “modellatori di decisione”) arriva a contare ben 115.000 unità per un settore che vale, secondo le stime, tra i 60 ed i 90 milioni di euro l'anno. Bruxelles è seconda solo all'antica e famosa scuola lobbistica di Washington.[MORE]

Molto più bassi i numeri italiani, dove oltre ad alcuni richiami costituzionali, si è legiferato in materia anche attraverso il Ddl Santagata del 2007 che però non dà effettiva regolamentazione dell'attività di lobbying. Le stime parlano di circa 1.200 lobbisti in movimento nelle istituzioni italiane, ai quali organizzazioni ed aziende mettono in mano circa 150 milioni di euro l'anno. 45,8 milioni di fatturato, con leggi per regolamentarne l'attività presentate in Parlamento fin dal 1979.
I due livelli – europeo e nazionale – secondo Daniel Gueguén non hanno però niente in comune.

Lo stereotipo. Numeri di questo tipo portano a definire come la figura del losco traffichino disegnata nell'immaginario collettivo sia più uno stereotipo che una realtà. L'attività di lobbying a Bruxelles viene fatta alla luce del sole. Anche perché quella che la Commissione Europea definisce come «attività con finalità di influenzare il processo legislativo e decisionale delle istituzioni europee» vede attive non solo le multinazionali o le organizzazioni di produttori (come la BigTobacco messa al centro di Thank you for smoking, primo film di Jason Reitman – regista, nel 2007, di Juno - che vede come protagonista Nick Naylor, lobbista statunitense per i produttori di sigarette).
Questo tipo di professionalità entra nel processo decisionale europeo in un meccanismo chiamato “comitatologia”. I consulenti ai quali si affida la Commissione Europea per legiferare arrivano «per il 55% dai governi e per il 35% dal mondo dell'industria», anche se «in alcuni settori, come biotecnologie e cambiamento climatico, la percentuale di questi ultimi supera il 50%» evidenzia Yiorgos Vassalos, ricercatore per il Corporate Europe Observatory, organizzazione non governativa che si occupa di denunciare l'influenza delle lobby sulle istituzioni e la legislazione europea. Gli esperti che lavorano alla questione del “carbone pulito”, ad esempio, vengono da compagnie come Enel, Edf o Siemens. Non esattamente gruppi di pressione ambientalista.

Dati gli evidenti conflitti di interessi, nel 2005 Siim Kallas – attuale vice-presidente della Commissione Europea e commissario europeo per i Trasporti – istituì l'European Transparency Initiative per rendere più trasparente il ruolo dei gruppi di pressione, avvicinando il rapporto tra istituzioni e lobbisti europei al modello statunitense. Dall'altra parte dell'oceano l'attività dei circa 17.000 lobbisti è pubblica e tutelata – come diritto di associazione e petizione – dal Primo Emendamento della Costituzione. L'iniziativa di Kallas ha portato, nel giugno 2008, alla creazione di un registro volontario europeo dei lobbisti nel quale mancano i nomi dei singoli lobbisti (ciò rende impossibile verificare eventuali conflitti di interesse) i rapporti finanziari in esso riportati non sono affidabili e sono state registrate organizzazioni che niente hanno a che fare con tale attività (dette gruppi “spam”), come evidenzia Franco Spicciariello – fondatore nel 2008 di Open Gate Italia, rappresentante di interessi «presso decision maker, media e istituzioni» - in Lobbying e Regolamentazione.

L'indipendenza degli esperti. Se ha un senso che i parlamentari si facciano aiutare da chi – sostanzialmente - ne sa più di loro, sorge però un problema concreto in merito all'indipendenza delle loro conoscenze, sulle quali si basano poi le decisioni dei parlamentari europei e, stando a quel 75% di “ingerenza europea”, di riflesso le legislazioni nazionali. Le leggi dello Stato italiano arrivano dunque dai consigli di amministrazione delle multinazionali (come quelle rappresentate, in Europa, dall'American Chamber of Commerce-European Union, che cura gli interessi del business statunitense in sede europea)? Difficile dare una risposta al di là degli aspetti numerici. Oltre all'indipendenza degli esperti bisogna tener conto di un altro fondamentale aspetto: l'autonomia decisionale dei rappresentanti europei. Questa, così come avviene nei parlamenti nazionali, può essere comprata a suon di tangenti come nel caso del “Dalligate”, o influenzata da interferenze esterne come per l'immissione in commercio di un medicinale salvavita – l'Orphacol – bloccato per tre anni solo per un problema di concorrenza transoceanica. 

L'influenza delle lobby in Europa è al centro di The Brussels Business, documentario realizzato lo scorso anno da Friedrich Moser e Matthieu Lietaert (qui il trailer). Se dalle istituzioni europee arriva gran parte dell'agenda politica ed economica dei governi nazionali diventa fondamentale capire chi muove davvero i fili dell'agenda europea.

[parte 1 di 3]

(foto: corporateeurope.org)
Andrea Intonti [http://senorbabylon.blogspot.it/]


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