"Argo" di Ben Affleck, indovina chi viene a Teheran
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NAPOLI, 12 NOVEMBRE 2012 - Aveva esordito positivamente con Gone Baby Gone, per poi affinarsi in The Town. Ben Affleck torna alla regia con Argo, confermando una crescita importante, caratterizzata non solo dalla costante calibratura di uno stile asciutto e scorrevole, ma anche evidenziando un'intelligenza di fondo - e questa non s'impara - nel rielaborare il cinema degli anni '70 senza archeologie e nel variare i toni della propria opera, trapassando senza voli d'Icaro dall'azione, alla commedia, al dramma storico.
Nel 1979 a Teheran, durante la rivoluzione seguita alla fuga negli Stati Uniti dello Scià Mohammad Reza Pahlavi, l'ambasciata americana fu presa d'assalto dai rivoluzionari, che tennero per 400 giorni in ostaggio i suoi impiegati. Sei cittadini statunitensi erano però riusciti a fuggire, trovando ospitalità presso la residenza dell'ambasciatore canadese. La CIA prova a riportarli in patria, attraverso il filo spinato dell'aeroporto: l'esfiltratore Tony Mendez (Ben Affleck) è intenzionato a spacciarli per membri di una troupe cinematografica, ma per farlo dovrà rendere credibile - alla stampa e all'Iran - il finto progetto di un film di fantascienza intitolato "Argo".
Tratto da una storia vera, Argo rivela questa radice documentaristica esordendo con le immagini storiche dello Scià in apertura, inserendo spesso - con strategici defilamenti - stralci di notiziari trasmessi dalla televisione e chiudendo con le foto che ritraggono i protagonisti in carne ed ossa della vicenda svoltasi alla fine degli anni' 70. La severità dello stile, supportata da un'interpretazione volutamente dimessa dello stesso Affleck, non sfocia nel cronachismo. L'aspetto interessante risiede probabilmente nella ricostruzione dei fatti con una drammatizzazione hollywoodiana che, mentre recupera esempi quali il Munich di Spielberg e il Milk di Gus Van Sant, non può fare a meno di ripensare a certi maestri della Nuova Hollywood degli anni '70, in particolare John Frankenheimer e John Schlesinger. L'effetto è quello di una presa diretta, un thriller politico che con un lavoro di ascesi ignora certe complicazioni della sceneggiatura che si sono viste negli anni duemila nel genere (da The Constant Gardener, a The Interpreter, fino Syriana), puntando piuttosto ad assecondare la linearità dei fatti, con la conseguente e fisiologica mutevolezza degli umori.
Così, l'inizio è quasi da action movie, con l'assedio all'ambasciata e la fuga precipitosa dei sei. Col passaggio nella stanza dei bottoni della CIA, il ritmo rallenta, ma consente di mettere a fuoco la personalità di Tony Mendez, che alla ligia professionalità abbina un'insospettata malinconia per la lontananza dalla moglie e dal figlio. Che sia proprio quest'ultimo a suggerire indirettamente al genitore di puntare sulla strategia del film di fantascienza - raccontando di star vedendo alla tv Il pianeta delle scimmie - è uno dei tanti dettagli sottotraccia con cui Affleck popola, tra l'ironia e la complessità emotiva, una vicenda reale. [MORE]
Ma è nella definizione del piano d'azione che il film prende piede. Sono introdotti comprimari impeccabili (John Goodman ed Alan Arkin, rispettivamente nei panni dello sceneggiatore John Chambers e del regista Lester Siegel), con i quali il regista getta un'occhio lucido e garbatamente divertito sugli ingranaggi di Hollywood, in parallelo parodistico al funzionamento dell'agenzia segreta. Soprattutto, riesce ad evitare di trasformare l'attuazione del progetto di Mendez in una sorta di Ocean's Eleven o La stangata, poichè non si limita a descrivere preparazione e svolgimento della missione, bensì caratterizza con dosata vis drammatica le incertezze che a tutti i livelli la rendono ardua: dalle remore ostinate degli ospiti, poco fiduciosi sull'esito, ai sofferti tentativi d'integrazione e di persuasione di Mendez, fino alla riluttanza dei superiori. Come una parabola all'incontrario, le sequenze dell'ultima parte - magnifico l'inseguimento all'aeroporto - recuperano una tensione purissima, assecondata da un montaggio alternato che fa ben capire come la partita si giochi su più tavoli.
Si tratta, dunque, di un cinema di mole etica e culturale considerevole, ma mai pesante, in questo avvicinandosi alla progressiva maturazione di Clint Eastwood, di cui Ben Affleck si spera possa in parte ripetere la felice esperienza del passaggio dietro la macchina da presa. Una manifattura abile, con un cuore d'artigiano ed uno sguardo da storico - non solo tout court, ma anche del cinema.
Titolo originale: id.
Regia: Ben Affleck
Interpreti: Ben Affleck, Bryan Cranston, Alan Arkin, John Goodman
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 120'
Origine: USA, 2012
Antonio Maiorino